Time4TheOther
Techno man - cap.XII

Fantascienza ?

spiaggia.jpg

Aspettare... perdere il momento...sperare....

Che palle!

Ora basta: il sole era abbagliante come un'allucinazione e non avrebbe relgalato tante altre occasioni.

Il caldo non era certo complice... tendeva piuttosto a tenerlo attaccato a quella maledetta asciugamano.

Avrebbe urlato il suo desiderio.

Avrebbe mosso quelle chiappe da lì.

A costo di soffrire come un cane.

Il biondo dei suoi capelli non avrebbe aspettato.

Era una botta di culo troppo unica. NOn poteva aspettare le sue eterne menate.

Tutto era urgente.

O - almeno - il suo misterioso sorriso.

Avrebbe barattato il suo destino eterno di onanista diplomato (sia sulle materie mentali che in quelle pratiche)?

Si.

Ora o mai più: non gli era mai capitato una figa simile.



A costo di essere mandato a cagare in un attimo.

Avrebbe comunque ringraziato anche la violenza di quell'attimo.

Pur di non avere rimpianti.

E così, mentre il suo viso passava in rassegna tutti i colori dell'arcobaleno si alzò impacciato.

Si sentiva l'uomo più ridicolo del pianeta: un incrocio tra uno zombie e un quindicenne ritardato.

"Bene... facciamola finita. Ok baby mandami pure a cagare. Ecco il tuo agnello sacrificale!"



I piedi gli pesavano, come se avesse le moon boot.

Salivazione azzerata. Il corpo rispondeva appena.

Impossibile descrivere lo sforzo.

Forse non ci sarebbe riuscito più una seconda volta.

Era troppo per lui.

Ma - a costo di collassare - avrebbe fatto quei quattro faticosissimi passi e avrebbe detto quelle poche maledettissime parole in attesa di prendere la sicura randellata.

"Ok... sono quasi arrivato. Calma... Non è mica un giaguaro selvaggio..."

Ancora un passo e sarebbe stato alla distanza giusta per parlarle.

Non poteva più fuggire. A meno che di fare completamente la figura del cretino.

Aveva anche valutato quella possibilità... dovendo misurare il grado bassissimo di lucidità che lo stava sostenendo.

"Scusi..."

E squillò il cellulare della bionda. Un Segno del Destino. Ma di un destino davvero carogna.

"Abbia pazienza..." rispose lei cercando nervosamente il telefono nella borsa del mare.

Che suono orribile. Come del resto era orribile per lui aspettare ancora un attimo in più per vedere la sua faccia esposta alla gogna della figuraccia che pensava di stare per fare. Anzi era ormai sicuro che sarebbe andata a finire così.

"Ciao" rispose lei ammiccante al telefono, scrutandolo divertita "... sono al mare... è una giornata stupenda..." e via altre banalità del genere che sembravano non avere altro scopo che tenerlo sulla corda. Giuliano era assolutamente convinto che lei avesse intuito il suo imbarazzo e si stesse divertendo un mondo a vederlo friggere sotto al sole.

Del resto chi può pensare di poter scandagliare con precisione i pensieri di una donna?

"Si, si sta benissimo. No, non so quando tornerò, non voglio farmi fretta..." e intanto lo guardava con attenzione, quasi a testare con anatomica precisione ogni minimo cambiamento di espressione sul viso di lui "No, no, non preoccuparti...dimmi....Hai visto Riccardo? Come sta?..." E i suoi sguardi ambigui si facevano ancora più intensi.

Giuliano intanto sudava e la sua pelle assomigliava più a quella di un'anguilla che non a quella di un umano.

"Mi scusi" disse indifferente riattaccando il telefono.
"Scusi...ha da accendere ?"
La solita banalissima scusa. Pensò Giuliano, senza, però, essere in grado di elaborare niente di meglio.
Sul viso di lei sembrò trasparire un'impercettibile delusione, mista a un sorriso divertito: sotto le parole lei sembrava aver capito perfettamente il suo impacciato tentativo di approccio.
Del resto per Giuliano il suo corpo abbronzato, il suo sorriso luminoso, la sua voce armoniosa... erano davvero troppo... era davvero troppo bella per i suoi standard e - chissà come - era riuscito anche a superare la sua imbranataggine, sia pure per una richiesta banale che, forse, non sarebbe andata al di là della sua sigaretta accesa con cui sarebbe andato via - mangiandosi il fegato per non aver tentato di più.
Ma fu lei a dargli un'occasione.
"Senta, perchè non siede qui a fare due chiacchiere? Siamo soli su questa spiaggia e mi sento un po' annoiata."
A Giuliano sembrò di toccare il cielo con un dito. Anche se - comunque - si trovava ancora impantanato a lottare con la sua timidezza e la sfida di fare quattro chiacchiere non era per lui assolutamente facile e liscia.
"Certo...anch'io ho voglia..."
Quelle parole tradivano tutti i suoi desideri.
Lei sembrò leggerle correttamente con la loro intenzione profonda.
Anche lui sembrò rendersi conto di aver involontariamente scoperto le sue carte.
"Su, si segga, qui sull'asciugamano c'è posto per tutti e due..."
"Mi chiamo Elena" disse porgendogli la mano calda.
"Giuliano"
Le parole che seguirono, la solita sequela di banalità dove ogni suono è solo un veicolo di una schermaglia amorosa fatta di sguardi, sottintesi, leggero sfiorarsi di emozioni, rincorrersi tra le dune dell' istinto.

In effetti Elena non era solo una donna stupenda. Anzi, era ancora più bello ascoltarla, mano a mano che le banalità lasciavano il campo alla voglia di comunicare qualcosa.
Anche l'attrazione e il piacere di starle vicino sembravano fondersi con l'agio che sentiva prendere il posto della sua timidezza.

Elena aveva quarant'anni. Era single e si stava concedendo una vacanza solitaria per riuscire a riposarsi davvero dopo un anno pesante.
Il suo sorriso era così rassicurante.
In genere una donna così non sarebbe mai riuscita a metterlo a suo agio.
Con lei era diverso.
E poi Giuliano era assolutamente lusingato dal fatto che fosse stata lei a volerlo trattenere.

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