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Techno man - cap.XI

Fantascienza ?

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L’esperimento era davvero un’incognita.

Non tanto per i rischi – sempre presenti in qualsiesi nuova impresa – quanto per il mix che sarebbe venuto fuori tra i “desideri” e, quindi, l’immaginazione dell’uomo e la sintesi software che avrebbe generato la macchina per poi proiettarla nella sfera cognitivo-emozionale di Giuliano.

La macchina era comunque dotata di un “parco giochi” di 500 gigabyte di dati (filmati, articoli, foto, musiche, Virtual Reality, ecc.) che avrebbe dovuto combinare seguendo la traccia della cavia.

Era come un “compito in classe” dove il lavoro di assemblaggio avrebbe avuto la meglio.

Inoltre anche la psiche di Giuliano era stata ampiamente scannerizzata per proprorre un’esperienza conforme ai suoi standard e alle sue aspettative.

 

Ma come avrebbe vissuto Giuliano quell’esperienza?

Come un sogno?

Come un’allucinazione?

No, il risultato sarebbe stata la proiezione di un’esperienza vissuta (attraverso l’invio di impronte neuroniche).

Per Giuliano – al termine dell’esperienza – sarebbe risultato tutto conforme alla normale vita vissuta, con il suo carico di odori, calore, emozioni, e via dicendo.

 

La luce del laboratorio si affievolì per facilitare il passaggio.

Apparenetemente Giuliano era come addormentato ma, dal  monitoraggio sui valori, aveva tuti i parametri conformi a quelli di una normale veglia.

 

Mare.

Un forte odore di salsedine colpì i suoi sensi.

Il vento giocava imprevedibile con i suoi capelli.

Era lì, seduto sul bagnoasciuga: il mare, la sabbia morbida, il tiepido caldo… tutto sembrava congiurare per accompagnarlo dolcemente nelle braccia di Orfeo.

E così si distese in quello stato di grazia dove la coscienza – pur di godere di quella sensazione di pace – non mollava le briglie al sonno.

Un odore particolare attrasse la sua attenzione. Un profumo.

Un profumo più pungente e aggressivo.

Una donna si era stesa poco lontano da lui.

Giuliano aprì gli occhi lentamente e si volse verso di lei.

Lei lo guardava con aria di sfida, senza però dicharare esplicitamente alcun interesse nei suoi confronti.

Il suo sguardo si perdeva lontano, tra le onde lontane e solo di rado indugiava qualche attimo in più su di lui.

Per Giuliano era un flash: colori accesi, lei, i suoi capelli biondi, il suo costume dai colori vivaci, quasi optical…il cielo di un azzurro intenso senza nuvole che potessero incrinare la magia di quel momento.

Lei si alzò indifferente e gli si avvicinò: “Scusi ha da accendere…?”

Giuliano prese l’accendino e – da quelle poche parole – cercò di inquadrare il tipo.

La sua solita timidezza gli impediva quella prontezza indispensabile per “attaccare bottone”.

Per il momento i suoi “sensori” avevano già tanto da elaborare: il suo profumo che, con maggiore precisione, si offriva alle sue narici, la sua inflessione, il suo sguardo, il modo di muoversi….

Giuliano era fatto così: particolari, per altri insiginficanti, erano per lui una grossa fonte di dati, sui quali amava ricamare, fare congetture, sognare ad occhi aperti – tutto il contrario di quello che invece era richiesto al tipico “maschio italiano”, da tutte apparentemente disprezzato ma che poi era sempre quello che riusciva ad aprire una porta per un contatto diverso.

Lei si allontanò, regalandogli, invece del classico “grazie”, un sorriso ammiccante, tra le pieghe di un formalissimo congedo.

Ovviamente – come già gli era capitato nelle altre rare occasioni che gli erano capitate – Giuliano si dette dello stupido per la sua inettitudine. 

Ma faceva parte – per lui – della normale routine. Oramai era adulto e si era adattato a convivere con la sua cronica incapacità di “cogliere l’attimo”.

Del resto per lui era più usuale e, forse, più piacevole, costruire un castello fantastico e conservare quei pochi input come materiale grezzo per il suo lavorio cerebrale, piuttosto che rompere la cortina che lo separava dall’oggetto del desiderio.

Lei tornò alla sua asciugamano, con passi lenti e flessuosi, senza che un briciolo di fretta o di insicurezza potesse rilevarsi. Sicura come una pantera. Apparentemente indifferente eppure con una traccia sottintesa che si rilevava piano dai suoi movimenti.

Giuliano si voltò verso di lei. Il suo sguardo protetto da occhiali da sole. Sarebbe potuto rimanere così per ore senza dare nell’occhio ed iniziare il suo solito lavorio immmaginifico al quale era oramai abituato.

Nella sua coscienza non c’era traccia di preoccupazione, né di paura per qualche altra relazione contemporanea che avesse potuto inibirlo a cercare un approccio con la sconosciuta.

Solo la tipica timidezza.

Lei si girò dall’altra parte, con un gesto ambiguo tra il rifiuto sdegnoso del suo sguardo e – invece – la sfida per essere conquistata.

Rimasero così per qualche minuto. L’atmosfera carica di tensioni invisibili e mute.

Per Giuliano la pace era finita: forse quei momenti erano il preludio per qualcosa di più. Ma lui non si faceva illusioni; quante volte era caduto in quelle false reti che lanciano le donne solo per il piacere di sentirsi desiderate, senza alcuna reale intenzione di andare al di là di qualche sguardo…

Lui poi era un campione di questi “fraintendimenti”, forse per il suo desiderio invasivo che gli porponeva come disponibilità anche il gesto più innocente e neutro. E così anche lui non si fidava più di tanto delle sue sensazioni o, forse, era una scusa di ferro, per non fare nulla che potesse avvicinarlo a una donna.

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