L’esperimento era
davvero un’incognita.
Non tanto per i rischi
– sempre presenti in qualsiesi nuova impresa – quanto per il mix che sarebbe venuto fuori tra i “desideri”
e, quindi, l’immaginazione dell’uomo e la sintesi software che avrebbe generato la macchina per poi proiettarla
nella sfera cognitivo-emozionale di Giuliano.
La macchina era comunque
dotata di un “parco giochi” di 500 gigabyte di dati (filmati, articoli, foto, musiche, Virtual Reality, ecc.)
che avrebbe dovuto combinare seguendo la traccia della cavia.
Era come un “compito
in classe” dove il lavoro di assemblaggio avrebbe avuto la meglio.
Inoltre anche la psiche
di Giuliano era stata ampiamente scannerizzata per proprorre un’esperienza conforme ai suoi standard e alle sue aspettative.
Ma come avrebbe vissuto
Giuliano quell’esperienza?
Come un sogno?
Come un’allucinazione?
No, il risultato sarebbe
stata la proiezione di un’esperienza vissuta (attraverso l’invio di impronte neuroniche).
Per Giuliano – al
termine dell’esperienza – sarebbe risultato tutto conforme alla normale vita vissuta, con il suo carico di odori,
calore, emozioni, e via dicendo.
La luce del laboratorio
si affievolì per facilitare il passaggio.
Apparenetemente Giuliano
era come addormentato ma, dal monitoraggio sui valori, aveva tuti i parametri
conformi a quelli di una normale veglia.
Mare.
Un forte odore di salsedine
colpì i suoi sensi.
Il vento giocava imprevedibile
con i suoi capelli.
Era lì, seduto sul bagnoasciuga:
il mare, la sabbia morbida, il tiepido caldo… tutto sembrava congiurare per accompagnarlo dolcemente nelle braccia di
Orfeo.
E così si distese in quello
stato di grazia dove la coscienza – pur di godere di quella sensazione di pace – non mollava le briglie al sonno.
Un odore particolare attrasse
la sua attenzione. Un profumo.
Un profumo più pungente
e aggressivo.
Una donna si era stesa
poco lontano da lui.
Giuliano aprì gli occhi
lentamente e si volse verso di lei.
Lei lo guardava con aria
di sfida, senza però dicharare esplicitamente alcun interesse nei suoi confronti.
Il suo sguardo si perdeva
lontano, tra le onde lontane e solo di rado indugiava qualche attimo in più su di lui.
Per Giuliano era un flash:
colori accesi, lei, i suoi capelli biondi, il suo costume dai colori vivaci, quasi optical…il cielo di un azzurro intenso
senza nuvole che potessero incrinare la magia di quel momento.
Lei si alzò indifferente
e gli si avvicinò: “Scusi ha da accendere…?”
Giuliano prese l’accendino
e – da quelle poche parole – cercò di inquadrare il tipo.
La sua solita timidezza
gli impediva quella prontezza indispensabile per “attaccare bottone”.
Per il momento i suoi
“sensori” avevano già tanto da elaborare: il suo profumo che, con maggiore precisione, si offriva alle sue narici,
la sua inflessione, il suo sguardo, il modo di muoversi….
Giuliano era fatto così:
particolari, per altri insiginficanti, erano per lui una grossa fonte di dati, sui quali amava ricamare, fare congetture,
sognare ad occhi aperti – tutto il contrario di quello che invece era richiesto al tipico “maschio italiano”,
da tutte apparentemente disprezzato ma che poi era sempre quello che riusciva ad aprire una porta per un contatto diverso.
Lei si allontanò, regalandogli,
invece del classico “grazie”, un sorriso ammiccante, tra le pieghe di un formalissimo congedo.
Ovviamente –
come già gli era capitato nelle altre rare occasioni che gli erano capitate – Giuliano si dette dello stupido per la
sua inettitudine.
Ma faceva parte –
per lui – della normale routine. Oramai era adulto e si era adattato a convivere con la sua cronica incapacità di “cogliere
l’attimo”.
Del resto per lui era
più usuale e, forse, più piacevole, costruire un castello fantastico e conservare quei pochi input come materiale grezzo per
il suo lavorio cerebrale, piuttosto che rompere la cortina che lo separava dall’oggetto del desiderio.
Lei tornò alla sua asciugamano,
con passi lenti e flessuosi, senza che un briciolo di fretta o di insicurezza potesse rilevarsi. Sicura come una pantera.
Apparentemente indifferente eppure con una traccia sottintesa che si rilevava piano dai suoi movimenti.
Giuliano si voltò verso
di lei. Il suo sguardo protetto da occhiali da sole. Sarebbe potuto rimanere così per ore senza dare nell’occhio ed
iniziare il suo solito lavorio immmaginifico al quale era oramai abituato.
Nella sua coscienza non
c’era traccia di preoccupazione, né di paura per qualche altra relazione contemporanea che avesse potuto inibirlo a
cercare un approccio con la sconosciuta.
Solo la tipica timidezza.
Lei si girò dall’altra
parte, con un gesto ambiguo tra il rifiuto sdegnoso del suo sguardo e – invece – la sfida per essere conquistata.
Rimasero così per qualche
minuto. L’atmosfera carica di tensioni invisibili e mute.
Per Giuliano la pace era
finita: forse quei momenti erano il preludio per qualcosa di più. Ma lui non si faceva illusioni; quante volte era caduto
in quelle false reti che lanciano le donne solo per il piacere di sentirsi desiderate, senza alcuna reale intenzione di andare
al di là di qualche sguardo…
Lui poi era un campione
di questi “fraintendimenti”, forse per il suo desiderio invasivo che gli porponeva come disponibilità anche il
gesto più innocente e neutro. E così anche lui non si fidava più di tanto delle sue sensazioni o, forse, era una scusa di
ferro, per non fare nulla che potesse avvicinarlo a una donna.