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Techno man - cap.VI

Fantascienza?

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Mezz’ora: dieci di anni di vita condensati in veloci flash back.

 

La macchina arrivò puntuale, rompendo, con il suo silenzioso e lussuoso incedere, lo squallore della sua stradina.

Non era una vettura particolarmente lussuosa, ma l’atmosfera che si respirava attorno, lo sguardo dell’autista, le rifiniture interne, l’estrema cura di ogni particolare, contribuivano a creare un senso di agiatezza e di sicurezza aziendale.

 

Ma perché tutta quella cura?

 

La macchina procedeva sicura verso la periferia, lì dove tante aziende avevano iniziato già da anni a costruire le proprie cittadelle private, centri commerciali multimarche, tutto per rendere sempre più autonomo il polo di lavoro.

 

Ma la macchina procedeva ancora oltre…dove stavano andando?

 

“Certo che è davvero fuori la vostra ditta?” farfugliò Giuliano per cercare un motivo di conversazione, piuttosto che per reale interesse all’argomento.

L’autista lo guardò, un lampo di preoccupazione oscurò per un attimo il suo habitus professionale.

“Non si preoccopi…” si affrrettò subito ad aggiungere “ è anche per questo che mi hanno chiesto di venirla a prendere. A noi piace la tranquillità… sa, per un centro di ricerca è l’ideale…”

 

Era oramai quasi un’ora che stavano viaggiando.

 

Giuliano era solo un po’ in ansia per il colloquio che avrebbe dovuto sostenere e la campagna attorno sembrava sorridere sorniona ai suoi pensieri disordinati.
 

L’edificio li aspettava sobrio, protetto da filari di pini ordinati.

Il vialetto, il suono delle ghiaia sotto i pneumatici, ricordi e deja vù nella mente tesa di Giuliano.

Porte scorrevoli, segretarie sorridenti, pareti in plexigas, luci diffuse…si, un ambiente davvero moderno e rassicurante che traspirava efficienza e attività senza quell’ansia tipica delle nuove attività del terzo millennio.

 

Scale, ascensori, corridoi… una sala d’attesa.

“La stavamo aspettando, si accomodi pure” fu l’accoglienza perfetta dell’addetta.

Dopo poco lo fecerso entrare in un ufficio spazioso, pieno di luce… facile sentirsi a suo agio, nonstante la tensione invitabile di un colloquio di lavoro.

“Signor Giuliano, buongiorno” fu il saluto cordiale dell’esaminatore.

“Buongiorno” rispose Giuliano, con un’espressione troppo studiata, ma, del resto, l’unica che riusciva a tira fuori dal suo magro repertorio di rapporti sociali.

“Anzi, facciamo così, diamoci del tu. Per noi è importante che lei si senta assolutamente a suo agio. Mi chiamo Roberto” e gli tese la mano.

Giuliano, con una certa dose di sorpresa si affrrettò a stringerla e rcambiò con entusiasmo quell’approccio informale.

“Veniamo a noi. Sicuramente avrai tanti interrogativi e pian piano cercherò di rassicurarti.

Però – per il momento – vorrei che ti sopponessi a un piccolo test picoattitudinale.

Sai, le nostre sono attività di ricerca abbastanza delicate. Se tu non dovessi superare il test sarebbe spiacevole averti messo a conoscenza dei nostri progetti. Ti chiedo un po’ di pazienza.”

“Va bene” Giuliano cercò di dissimulare una certa dose di sospetto per un lavoro che – dall’inserzione sul giornale ad adesso – non accennava a chiarirsi, anzi… cosa avrebbe dovuto fare sembrava l’ultima delle risposte che avevano intenzione di dargli. Forse dopo…dopo…

Ma certamente non era quello il momento di fare polemiche e di mostrare il lato più pedante del suo carattere.

 

Fu introdotto in un’altra saletta più piccola. Sembrava più uno studio medico che un ufficio.

Gli montarono degli elettrodi sul capo e lo fecero assistere alla proiezione di un video.

Le sue reazioni emotive sarebbero state monitorate dagli elettrodi.

Le immagini erano apparentemente senza senso, né filo logico, anche se, emotivamente, riconosceva una certo disegno che guidava il loro susseguirsi.

Una quindicina di minuti.

Poi lo liberarono di tutta quell’imbracatura e lo lasciarono da solo a riposare su una comoda poltrona.

Probabilmente una telecamera nascosta stava continuando il monotoraggio anche di quegli attimi di “apparente” relax.

 

Passò ancora una mezz’oretta.

“Siamo a cavallo Giuliano” esordì Roberto entrando allegramente nella stanza.

“I test sono incoraggianti, adesso forse è il momento di passare al colloquio vero e proprio”.

Tornarono così nel megaufficio futurista dove le poltrone aspettavano i due.

“Accomodati… Posso offrirti qualcosa?”

“Un po’ d’acqua. Grazie” la voce di Giuliano era leggermente tremolante. Qualcosa di indefinito lo disturbava, qualcosa non gli sembrava “a posto”, non gli quadrava. Ma non sapeva cosa.

“Allora, parliamo un po’ di te… Cosa ti piacerebbe fare?”

“Beh…”

Giuliano cercava di mettere in ordine le idee che, purtroppo, anche davanti a una domanda così banale, gli si rigiravano senza senso nella testa.

 

“Ok, non perdiamo tempo con le solite tecniche – Roberto sembrava quasi volesse togliere Giuliano da quel silenzio imbarazzante -  Ti dico in breve che cosa vorremmo noi da te. Stiamo progettando una nuova macchina per la soddisfazione controllata dei desideri e abbiamo bisogno di un certo numero di persone disposte a sperimentarne gli effetti. Non so se hai seguito in televisione tutto lo scoop sul furto del quad.

Non sai le indagini di mercato con quali picchi hanno monitorato le aspettative della gente verso un chip del genere! E noi vogliamo essere i primi a produrlo. Certo il quad è il quad e nessun laboratorio privato può emulare la sua raffinata progettazione… ma…”

“Ma?” aggiunse curioso Giuliano.

“Ma noi comunque faremi di tutto per avvicinarci al massimo a quel chip. La gente lo vuole. Lo desidera più di ogni altra cosa e noi gliela daremo. Vero Giuliano?”

Giuliano ebbe un tuffo al cuore. Era già parte di quella strampalata famiglia di scienziati pazzi e il suo sesto senso continuava a distrurbarlo con un’indistinta sensazione di pericolo.

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