E così, gongolandosi nelle sue
fantasie e gustando il fastidio di una leggera insonnia, si addormentò.
Il giorno passò lento, illusione
e disullusione di rincorrevano come foglie lasciate cadere dall’albero irrequieto della sua mente.
Le grandi manovre dell’abbigliamento
si svolsero silenziose, nella sua casa solitaria.
Non aveva nessuno a cui chiedere
consiglio, nessuno che potesse inorridire della prima cravatta che aveva scelto, nessuno che potesse, con un occhiata affettuosa,
augurargli il classico “in bocca al lupo”.
“Del resto l’ho voluta
io” era la frase tipica che gli saltava in mente quando era costretto ad ammettere la sua solitudine.
Ed era vero, anche se un po’
più triste di come Giuliano voleva farla passare.
“Ma che diavolo di lavoro
sarà?” – già… non era chiaro nulla. Ma tra poco avrebbe sciolto l’arcano.
Ore 16.15. Ancora tre quarti d’ora.
Il cielo tendeva alle tinte arancioni
di quella serata incombente di fine inverno.
Erano colori stupendi. Come dentro
di lui. Come dentro il suo futuro?
Lo sguardo vagava per la casa
in cerca di qualcosa…e di nulla.
Amava, fin da piccolo, frugare
per casa alla ricerca di qualche oggetto dimenticato, di qualche segnale antico del suo passato. E spesso quelle ricerche
gli regalavano dei frammenti di passato preziosi. Un accendino scarico mai buttato perché ricordo di una gita. Un bottone
di un pantalone oramai smesso, che usava quando andava all’università.
In genere, quando aveva una mezz’oretta
libera si condeveva con il massimo piacere alla perquisizione del suo spazio.
Ora stava attaccando con moobosità
una vecchia scatola in un ripano della libreria.
Era uno dei pochi depositi di
ciafrusaglie che era scampato dai precedenti rastrellamenti.
Una bellissima scatola di scarpe,
incredibilmente comune e assolutamente unica per il suo contenuto. La portò sotto la lampada dello scrittoio.
Una penna (ovviamente scarica)
di quelle che usava dieci anni fa, un temperino spuntato, una serie di punti sconto di un supermercato oramai scaduti…
e un bigliettino, ben ripiegato, di cui non ricordava proprio l’esistenza.
Era la sua grafia, quella di un
po’ di tempo prima, il tratto generoso e impaziente della sua gioventù, l’ansia graffiante di visioni utopiche
sul suo futuro e su quello del mondo.
“Caro Giuliano,
solo il tuo te di ieri (se leggerai
questa lettera tra qualche anno);
volevo solo ricordarti quello
che eri, quello che volevi; già oggi sento che stai cambiando, preso dalle necessità della vita…figuriamoci quando diventerai
uno dei tanti ‘signori’ sicuri che popolano arroganti le strade, i bar, gli uffici. Non diventare così. Sii fedele
a quello che sei oggi.
Milano, 3/2/2020”
Che tenerezza, che ingenuità,
che lungimiranza.
Se Giuliano di ieri avesse visto
quello di oggi…
Si sarebbe riconosciuto in quell’allegro
cinquantenne – baby pensionato e in attesa dell’autista che l’avrebbe portato sulla sponda della sua nuova
vita ?
Chissà!? Comunque, tutto sommato,
non era cambiato tanto. Non aveva una famiglia alla quale assicurare quella stabilità che tutte le donne richiedono con fermezza,
non aveva particolari impegni…si, in effetti era rimasto fedele a se stesso: legami pochi, sogni tanti, ancora oggi,
al momento in cui i suoi coetanei iniziavano a fare i conti con la propria vita e con quello che fin ad allora avevano realizzato,
lui era lì, a fantasticare sul suo nuovo lavoro...