L’ospedale
era ormai nella visuale dello specchietto retrovisore.
Era
stato dimesso. Oramai era quasi autonomo, rimaneva solo l’aiuto di una signora che la mattina gli metteva in ordine
la casa. Al lavoro poteva ancora rinunciare. Il certificato medico gli prescriveva ancora un mese di malattia a cui non aveva
alcuna intenzione di rinunciare.
In
passato avrebbe ripreso il lavoro prendendosi – al massimo – due o tre giorni di riposo.
Ora
no. No. Avrebbe respirato tutte le possibilità della città, tutte le cose che non aveva mai fatto per mancanza di tempo, tutto
quello che è la vita, a parte il lavoro.
Ricordava
ancora con un certo disgusto la scritta su un camion che lo precedeva prima dell’incidente: “LAVORO….”
e lo scontro che gli aveva impedito di finire di leggere la frase.
A
Milano il lavoro è sacro. Più della famiglia, più dei soldi, più del sesso.
Anche
Lucio era diventato così, a poco a poco, respirando di continuo quello slogan ripetuto implicitamente in tanti discorsi (“Ho
cambiato lavoro…” “Il lavoro che faccio non mi piace” “Sono molto impegnato sul lavoro”
“Sono stanco del troppo lavoro” “Sto ancora cercando lavoro”): IL LAVORO E’ IMPORTANTE.
Si
certo, è una realtà, anche allora, camminando per le vie frenetiche del centro non poteva fare a meno di riconoscere quanto
fosse importante.
L’unico
problema è che non è tutta la vita. E’ una parte della vita.
Ora
si che si sentiva a suo agio con questi nuovi pensieri: era a spasso non per comprare qualcosa (semmai per il lavoro), né
per arrivare in orario ad un appuntamento con un cliente… Era a spasso, in quell’anonimo mercoledì, per andare
a vedere una mostra: “Piante rare- testimonianze dal mondo della botanica”. Mai e poi mai avrebbe dedicato un
minuto del suo tempo per una mostra del genere. Troppo fuori dal suo mondo. Troppo poco “lavoro” da tirare fuori
da un’esperienza del genere. Eppure quel mercoledì si sentiva contento come una pasqua, con in agenda “Piante
rare”.