Time4TheOther
Piante rare - Cap.4

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I giorni passavano, lenti ma costanti, ruscello-acqua immancabile che cerca il grande mare.

E così Lucio, assorto dalla rinascita, in contemplazione del miracolo inatteso.

Ferito ma contento.

Ora aveva tutto sotto le mani. Tutta la vita, tutte le possibilità, tutta la sua mente.

Doveva solo aspettare di uscire dall’ospedale.

Perché? Perché solo allora stava iniziando ad apprezzare il sapore della vita?

Perché era così facile-difficile guardare il sole e gioire della luce?

 

Gli veniva in mente una canzone….”…è cominciò a vivere forte, proprio andando incontro alla morte…”

E la canticchiava dentro di sé, con in più la rassicurazione che, sia pure anche lui si fosse inevitabilmente avvicinato alla morte, ora la fine sembrava solo uno spauracchio lontano.

Banale?

Si, incredibilmente banale. Ma vero e utile e umano e indispensabile.

Stava iniziando a riconsiderare dentro di sé le categorie, con le quali aveva, bene o male giudicato il mondo.

E sorrideva alla consapevolezza di come la sua insoddisfazione non era figlia se non di una incredibile arroganza. L’arroganza di sapere già tutto, di disprezzare le cose prima ancora di vederle, di prevedere i suoi stati d’animo prima ancora di averli sperimentati.

Insomma, la vita era più complessa, varia, imprevedibile, di come lui l’aveva immaginata.

E, se c’era qualcosa di banale, era – piuttosto – la sua presunzione.

 

Cosa avrebbe fatto dei prossimi quarant’anni che, probabilmente, aveva davanti?

Era questa la domanda che coltivava giorno per giorno, aspettando che il suo corpo avesse ripreso le sue funzioni e un medico allegro e spiritoso avesse firmato le sue dimissioni dall’ospedale.

 

La cosa bella era che non aveva più la tendenza a lasciarsi torturare dalle domande, dai problemi.

Anche quella – importante, inevitabile, seria – era più che altro vissuta come un gioco.

Un gioco che riconosceva con leggerezza come suo. La sua vita. Un gioco che poteva giocare come meglio credeva. Anzi, che voleva giocare come mai aveva tentato prima.

 

La luce inondava la sua stanza con pienezza.

Ogni tanto, con qualche sforzo, molta pazienza e un po’ di tempo, si avvicinava alla finestra e sbirciava fuori.

Le persone si affrettavano, uscendo ed entrando dalla struttura. Pochi erano quelli che approfittavano delle panchine e del parco per fermarsi e godere della bella giornata.

“Che peccato” pensò tra sé “Corriamo quando dovremmo fermarci e ci fermiamo quando dovremmo correre via…”

Notava e seguiva con lo sguardo le belle donne che camminavano.

In quell’ambiente la bellezza femminile, i vestiti più o meno provocanti, le forme esibite, il trucco…avevano uno stano effetto. I loro volti, infatti, comunicavano qualcos’altro. In genere le persone che bazzicano gli ospedali o lavorano o stanno lì per qualche problema di salute. E anche loro – le figone – non erano certo lì per divertirsi. Eppure portavano – dalle altre parti della città – l’esigenza, l’abitudine, il desiderio di essere desiderabili, belle, alla moda… E i due mondi si incorciavano con una straniante e dissacrante asincronia. Tutto sommato piacevole.

C’era solo quello sguardo, sul viso di tante, che tradiva la contraddizione e faceva riflettere.

Uno sguardo preoccupato, una fretta convulsa, una speranza testarda.

E Lucio era lì. Finalmente aveva la possibilità di utilizzare il proprio tempo senza dover fare troppa economia. E anche quei momenti, quel meditare sul vetro della stanza, erano frammenti preziosi di un discorso a cui dava valore. Un discorso muto, inutile da comunicare ma assolutamente importante.

Il mondo era lì. Almeno un frammento di quell’immenso oceano che era la vita del pianeta.

E lui aveva una grande opportunità: risettare il suo pensiero, riaggiustare il tiro, non sprecare nemmeno un attimo di quella vita che aveva salvato per un caso fortunato.

 

La prima azione da fare era quella di buttare a mare il suo scetticismo. In effetti, sostanzialmente, era un lavoro già fatto ma, inevitabilemnte, per stabilizzare quella decisione, avrebbe dovuto costruire delle basi più forti. In quel momento  per chiunque – o quasi - sarebbe stato naturale sentire gratitudine e voglia di ricominciare da zero. E Lucio lo capiva e doveva/voleva assolutamente non perdere per strada quel senso di appartenenza alla famiglia umana.

Avrebbe dato tutto se stesso solo per non tornare come prima, solo per continuare a svegliarsi la mattina con la gioia di una nuova giornata da vivere.

No, non avrebbe barattato facilmente quello stato per cazzate.

No, avrebbe difeso con i denti e con le unghie quello per cui, più o meno consapevolmente, aveva tanto lottato.

 

Cosa aveva attorno ora?

Quasi niente, in effetti.

Zero famiglia.

Un lavoro…si. Ma, alla luce di quei giorni, era un fatto assolutemente insufficiente.

Amici? Pochi veri. Tanti che dividevano con lui lo svago dei week end, ma poco altro in più.

 

Non c’aveva mai pensato? Possibile?

Si, solo allora iniziava a guardare con lucidità il (poco) senso della sua vita.

Non che una famiglia avesse, di sistema, dato valore alla sua vita. Né un altro lavoro….

Era – più che altro la scala di valori che andava ricostruita.

Avrebbe benissimo potuto continuare più o meno come prima. Non era quello il punto.

Si rendeva conto che doveva però usare una altro “condimento”, anche se avesse continuato a mangiare la solita zuppa.

 

Lasciò che i raggi del sole baciasero le sue palpebre socchiuse e pregustò con soddisfazione quello che avrebbe fatto una volta uscito dall’ospedale….non aveva idee precise ma una solida convizione: non avrebbe lasciato scorrere via nemmeno più un secondo della sua vita, senza un po’ di passione.

Questa era la sua determinazione.

La fantasia giocò con esuberanza con quel pensiero, accompagnando la sua mente nei sogni di quel pomeriggio assolato.