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Ipotesi di miglioramento Capitolo IX

Notte (seconda)

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Consuelo era lì, affacciata alla finestra, in cerca di un viso, di un suono, di un'immagine.

Non sarebbe riuscita a dormire se non avesse trovato. Anzi sarebbe rimasta sveglia di proposito.

Era assolutamente decisa. Così com'era entrata in quella palude, così ci sarebbe uscita.

 

La notte avvolgeva la risposta in un mormorio tentacolare che recitava più o meno così: "Domani, ora è tardi, domani, non c'è bisogno di aver fretta, ora comando io e tutto quello che potrai trovare sarà solo ombra. Domani, domani..."

 

Consuelo sapeva che erano solo bugie, che non c'era alcuna fretta che avrebbe potuto distorcere la sua ricerca, che l'ansia era stata completamente dissolta, senza ombra di dubbio, dalla luce della sua determinazione. Però era davvero stanca. Era una giornata dura. E ancora non era finita.

Sentiva che la soluzione era lì, così semplicemente evidente da mimetizzarsi nei meandri della mente.

 

Non aveva alcuna intenzione di gettare la spugna. Ma non era sufficiente nè a zittire la litania della notte, nè la paradossale difficoltà che aveva di fronte.

 

Rodolfo si era alzato. Girovagava in cucina. Beveva dell'acqua. Sedeva. Accendeva una sigaretta. Giocava col telecomando e la TV vomitava idiozie senza soluzione di continuità. 

Era l'ora delle maghe, del lotto supermiliardario, delle chat line, dei numeri erotici...

 

Pochi metri più in là era l'ora di Consuelo di tirare giù il velo e guardare la realtà.

In definitiva la sua vita quotidiana non era più insoddisfacente di quella di migliaia di altre donne e uomini.

Non poteva davvero lamentarsi.

Eppure mancava qualcosa. Qualcosa di lieve, di sfumato, di apparentemente non indispensabile ma profondamente necessario, come il sale nella pasta, o lo zucchero nel caffè.

Senza quell'ingrediente la sua vita era insipida, molto simile a quella delle bestie, anzi, forse peggiore, perchè almeno le bestie non hanno grandi capacità di autoriflessione.

 

Cosa voleva?

Un amante?

Un pacco di soldi?

Una casa nuova?

Un lavoro da VIP?

 

No, non era quello.

O foprse si. Forse avrebbe voluto un po' di soldi in più, una casa più grande, ul lavoro dove avesse potuto mettere a frutto le sue capacità ed inclinazioni....

Ma non era quello. Profondamente quelle cose sarebbero potute pure venire, e sarebbero state le benvenute, ma non in uqel momento.

In quel momento sarebbero state solo come un buonissimo pollo allo spiedo servito, però, a chi sta morendo di sete.

Su questo Consuelo non aveva dubbi.

La sua, del resto, non era stata una vita senza problemi o difficoltà, per cui non si riconosceva nello stereotipo di donna-borghese-annoiata-insoddisfatta.

Però, forse, i suoi sentimenti non erano molto diversi da quelli di una donna di quel tipo.

Era il momento di riconciliarsi con il mondo? Era il momento di riconoscere lei stessa parte di una più vasta umanità, lei con gli stessi problemi di una donna ricca e viziata?

Era forse il momento di accettare il reale, senza chiedere troppo di più e ringraziare la vita per quel po' di agiatezza e tranquillità nella quale passava i suoi giorni?

O era il momento di liberarsi di quei limiti che le impedivano di volare più in alto?

Forse avrebbe dovuto sperimentare. Cose anche stupide, insulse, per le quali non aveva mai provato particolare attrattiva e vedere lìeffetto che avrebbero sortito in lei.

Ma no, era stupido trasformarsi in qualcos'altro. Lei era fermamente convinta che la vita fosse lì, e anche la soddisfazione, sotto i suoi occhi, sotto i suoi piedi, tra le sue mani, nascosta, forse, tra i suoi capelli scompigliati ma, certamente, non lontano da lei.

 

Se questi pensieri avessero occupato la sua mente due o tre mesi prima, certamente li avrebbe scacciati o bollati come ridicole fantasticherie. Lei, presa sempre tra il poco tempo da gestire e le mille cose da fare. Lei, che doveva pensare ai bambini, al marito, alla casa, ai problemi: come osava pensare a se stessa? Come osava interrompere il ciclo infinito di cose "importanti" che non potevano essere accantonate? Che cosa le mancava, poi?

 

Parole. Quelle bistrattate parole. Quei suoni inconcludenti di cui non aveva già più fiducia.

Quei vuoti d’aria che si agitavano tra la sua testa e il tempo e lo spazio.

Del resto non erano anche i pensieri fatti di parole?

Allora perché non aveva fiducia nel dialogo, nel parlare dei suoi problemi?

Boh.

“Gia fatto” era la risposta sibillina che gli rimbalzava nella mente.

Si, forse era vero. Eppure c’era qualcosa di più, di diverso, che avrebbe recuperato il flusso del discorso al valore vero dello scambio.

Come una goccia che, piano piano, silenziosamente, aveva eroso la sua fiducia in Rodolfo e nelle persone, così le risultava difficile ricucire le maglie di un dialogo che sembrava non funzionare più.

 

Eppure era necessario. Era una scommessa che Rodolfo l’avesse ascoltata, che lei avesse usato le parole giuste per evitare di trasformare il contatto in un inferno.

 

Del resto non poteva fare altrimenti.

 

O, perlomeno, la realtà era che mancavano poche ore alla fine della giornata e, nonostante tutti i suoi dubbi, non avrebbe lasciato nulla d’intentato

 

La notte giocava crudele con il ritmo insolente delle lancette dell’orologio.

La notte, ladra bugiarda delle speranze. Puttana piena di promesse che il suo alter ego (il giorno) non avrebbe mai rispettato.

La notte era lì sotto i suoi occhi. Si rifletteva indifferente nelle ombre delle macchine che passavano veloci.

Si scontrava tranquilla con l’inevitabilità dei secondi che passavano.

 

Consuelo guardò stanca la stanchezza di Rodolfo. Lui, le sue sigarette, il suo TV, la sua aria rassegnata.

 

Era nelle sue mani. Anche il futuro di Rodolfo era nelle sue mani. In quel momento.

Percepiva quest’assurda verità con un senso di responsabilità e di paura.

 

“Se non altro sarà l’occasione giusta anche per lui”

 

Consuelo aveva pulito la sua mente dalle continue recriminazioni che avevano nel tempo trasformato l’immagine di Rodolfo in quella di uno “stronzo fatto e finito”.

 

Era pronta. Eppure la paura non la lasciava; come la sensazione dell’inutilità del dialogo  non la lasciva volare; come quel senso di impotenza, da poco liquidato dalla sua vita, rimaneva ancora vigile e attento a scoprire qualche breccia dove potere

entrare.

 

Nuvole di fumo. Nuove. Quelle della sigaretta che bruciava piano. Nuove, viste da quel punto di vista.

Era sulla finestra e il fumo giocava con le immagini aldi là creando sogni allucinati, bellissimi, lievi, affettuosi.

Era quello che voleva, in effetti: una vita piena d’amore.

 

Consuelo, in definitiva odiava se stessa.

In quelle nuvole vedeva la vaghezza della sua vita ,dei suoi desideri, delle rinunce inutili, delle infantili paure.

Odiava quel senso di impotenza che l’aveva cullata in tutti quegli anni.

E odiava anche chi gli stava attorno. Avrebbe voluto una specie di “papà” che l’avesse strigliata a dovere e l’avesse costretta a lavorare per la sua felicità…invece quel ruolo nessuno l’aveva voluto impersonare.

 

Eppure quella notte riusciva ad accarezzare quella bambina capricciosa, accettava le sue isterie e le sue contraddizioni, i suoi desideri e la sua cronica mancanza di volontà nel realizzarli.

Accarezzava la sua ansia come – alla fin fine – una cosa buona, come la benzina che l’avrebbe tirata fuori dalla palude. L’avrebbe tenuta a freno, addomesticata ma mai più l’avrebbe subita come una malattia. La vita era lì, sarebbe scorsa imperturbabile  alle sue emozioni, avrebbe portato i suoi problemi e le sue gioie: non era il caso di appesantirla ulteriormente, era il momento di viverla fino in fondo, così come stava facendo in quelle ultime ore di quel giorno che stava morendo.

 

E quella bambina sarebbe rinata, aveva tanto bisogno di quelle carezze.

 

Forse anche Rodolfo aveva bisogno di qualche carezza.

Da tempo non ne dava e non ne riceveva.

Consuelo lo guardava con tenerezza, ma la spontaneità per manifestare quel sentimento doveva ancora essere costruita.

Era già una novità sentire qualcosa per lui. Era davvero tanto.

Il suo cuore iniziava a osservare il mondo e la diga che lo separva dal sentire.

La diga stava iniziando a cedere. Oramai Consuelo aveva già preparato la carica di dinamite: doveva solo decidere il punto più opportuno, le crepe che potevano essere sue alleate nella distruzione e il tempo adatto per quella indispensabile deflagrazione.

 

Avrebbe assistito assorta e incantata al boom infinito.

Come da piccola gurdava affascinata i fuochi d’artificio, cercando un braccio adulto nel quale nascondere la faccia curiosa e spaventata.

 

Rodolfo si era quasi appisolato.

Questa scena altre volte avrebbe messo Consuelo in uno stato di prostrazione, di rabbia, di odio verso qul mondo in pantofole, così diverso dal perpetuo divenire della vita fuori di quelle mura.

Eppure era proprio lei la più pigra.

Erano anni che non gli aveva più chiesto di uscire.

Eppure era sempre lui il caprio espiatorio, la valvola di sicurezza sulla quale far convergere la sua insoddisfazione.

Tutto questo ora le era chiaro. E provava quasi un rimorso nell’essersi illusa che il demone fosse Rodolfo. Non tanto per una sorta di senso di colpa verso di lui, quanto per un rinnovato rispetto per se stessa, per come si era presa in giro ed aveva, in definitiva, ritardato la propria crescita.

 

Comunque Rodolfo andava svegliato; quel suo solito dormicchiare, sia in quel momento davanti alla TV, che nelle tante sere insieme, non poteva durare.

Sembrava un’impresa epica e rischiosa, come svegliare un animale in letargo. E la notte continuava a mormorare maliziosa: “Lascia perdere…aspetta fino a domani…nn lo vedi che stasera è stanco… domani forse…”.

Ma era solo una creazione della sua mente. Tutto quel panorama non poteva che essere figlio dell’indolenza di Consuelo. Certo Rodolfo non brillava certo per intraprendenza ma… ora Consuelo poteva e doveva fare affidamento solo su se stessa. Poi il suo risveglio avrebbe svegliato anche lui.

Era solo un complice, morbidamente accucciato su una poltrona.

 

Consuelo lo guardò.

 

Com’era cambiato. Il tempo aveva scavato solchi preofondi sui loro volti e sulle loro vite.

Eppure, incrociando il suo sguardo nel riflesso della finestra, non aveva potuto fare a meno di notare un guizzo di gioventù che sprizzava indomito dal suo viso.

Il germoglio del lora rapporto era acnora lì. Non si era gelato nella neve. Non era secco. Era rimasto ibernato. Ma non era nadato perduto.

Si, era quella la profonda intuizione di Consuelo. Era quello il filo che legava il presente al passato e al futuro. Lei ci credeva, non come in una fede messianica, quanto come una percezione nitida, precisa, che poco aveva della speranza e molto della certezza. E, quando si tratta di sondare il cuore di una relazione, dove gli intrecci, le responsabilità, le sensibilità dell’uno e dell’altra tendono a confondersi come in una giungla inviolata, una percezione di quel tipo aveva dell’irreale, dell’utopico, dell’impossibile.

Eppure lei sapeva che non si sarebbe accontentata di nulla di meno.

Voleva una vita a colori.

Se i colori dell’alba di un nuovo giorno fossero stati inconciliabili con la realtà, avrebbe affrontato i toni cupi della tempesta, senza più retrocedere.

 

L’amava ancora?

 

Questa era una domanda che tornava ciclicamente nelle sue riflessioni.

In genere la guardava come avrebbe fatto con un animale esotico e sconosciuto e la lasciava lì, nell’archivio delle domande irrisolte.

 

Ma il tempo era maturo. Anzi per lei era stava lentamente scadendo.