Time4TheOther

Ipotesi di miglioramento Capitolo X

Notte (l’ultima occasione)

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Consuelo sembrava assaporare quei momenti con la quieta rassegnazione con la quale avrebbe dato l’addio ad una nave in partenza.

In realtà stava dando l’addio ad una parte di sé.

Stava salutando per l’ultima volta le sue comode e inutili certezze che, oramai, si erano sgretolate al sole del suo risveglio.

Non avrebbe potuto più prendersi in giro. Non l’avrebbe più fatto, mai più.

Eppure la palude, che stava lentamente essendo sommersa dall’acqua pulita dei torrenti che si scioglievano al sole della sua coscienza, sembrava cambiare colore e mostrare che, in effetti, la realtà della sua vita era comunque quella.

 

La nave che stava salutando era solo piena delle catene dei limiti che lei aveva deliberatamente costruito attorno alla sua vita, ai cambiamenti che avessero potuto smuovere, sia pure solo di un millimetro, la sua routine infinita.

 

In realtà la palude era solo un miraggio, una distorsione ottica, un riflesso sballato da una luce per troppo tempo repressa.

 

Non ci sarebbero state più paludi che l’avrebbero fermata. Vere o immaginarie che fossero state.

 

Consuelo si avvicinò piano a Rodolfo.

 

Il suo respiro era regolare, lento, tranquillo, forse già sommerso dal sonno invasivo.

Consuelo no. Era assolutamente sveglia, lucida, attenta come sotto l’effetto di qualche stimolante.

“Rodolfo…”

“…”

“Voglio parlarti…”

“…Che c’è, che ore sono?”

“Sono le 11. Dai, non è tardi”

“…mmmh… fammi prendere conoscenza… se proprio devi, fammi almeno un caffè, altrimenti non durerò a lungo…”

“Ok”

Consuelo lavò la macchinetta del caffè e con gesti collaudati, oramai assolutamente automatici, caricò la moka e accese il gas.

Rodolfo la guardava. Un po’ scocciato di quel risveglio, tanto più che, anche se dormiva solo pochi minuti, odiava aprire gli occhi e dover affrontare subito il mondo. Figuriamoci un dialogo “impegnato” come quello che sembrava chiedere Consuelo.

Ma, come una malattia benefica, il risveglio di Consuelo aveva aperto una breccia anche in Rodolfo.

In genere una rochiesta del genere, appena sveglio, l’avrebbe mandato in bestia o, al massimo, avrebbe rimandato tutto a un altro momento.

Ora no, era stranamente disponibile. Anche Consuelo notò quel cambiamento e lo gustò in silenzio, assieme all’odore del caffè che stava uscendo.

 

“Bene, veramene una bella tazza…Il caldo si sta calmando. Bene, no ne potevo più…”

Consuelo lo guardò con affetto. In passato avrebbe giudicato male quella frase ripetuta più e più volte, un segnale in più della banalità che affliggeva la sua vita.

Ora prendeva una sfumatura di antico, di solito, di tradizione. Un modo come un altro per confermare la propria vicinanza. L’esserci, anche quando non c’era molto da dire.

“Rodolfo…sei felice?”

“Dipende da com’è questo caffè….aspetta che lo provo…”

“…”

“Buono, sono quasi felice”

“Io no.” Ribattè secca Consuelo. Forse non era nemmeno così, ma doveva usare per forza dei toni estremi per destare la sua attenzione.

“Cosa vorresti?”

“A te va bene tutto così?”

“No, non tutto…ma tante cose vanno bene così…” rispose Rodolfo

“Stiamo invecchiando…”

“E già…cosa vuoi ancora dalla vita?”

“Niente, è la vita che vuole ancora qualcosa da me e io voglio assolutamente dargliela”

“Cosa c’è? Cosa stai dicendo?”

“Non riesco a vedere l’altra metà dei miei anni già predeterminati. Mi sembra di aspettare la morte.”

“Beh, diventare adulti non è semplice. Archiviare i sogni del passato, iniziare a usare la matematica, piuttosto che il romanticismo. Risolvere beghe. Pensare ai figli. Si prede sempre qualcosa ad essere legati…”
”E invece no. Sono convinta che non è così. O almeno, che può non essere così. Com’è naturale mettere al mondo dei figli e tutto il resto, è naturale essere felici, non dare tutto per scontato, godere del mondo attorno. Non farlo sarebbe davvero buttare ai rovi gli anni che abbiamo davanti.”

“Ok, ok, stai sul filosofico-esistenzialista…Lo sai, non sono bravo in queste cose…”

“Ma anche tu vivi. Anche tu ti alzi la mattina, ti guardi allo specchio e qualche risposta devi pur dartela. Su quello che hai intenzionedi fare, sul senso che intravedi nel giorno che stai per affrontare…”

“Si ma… in genere sono troppo occupato a combattere il ritardo cronico e il malumore mattutino. Cerco di non dare troppa corda alla mia mente. Specie appena sveglio. Il senso non lo conosco. So solo che lo ritrovo nelle cose che faccio, anche nelle abitudini – perché no, nelle sicurezze, nei piaceri, sia pur modesti, che riesco a grattare nel barile che ho davanti.”

“E non hai paura?”

“Paura di che?”

“Paura di trovarti un giorno di fronte alla morte e scoprire in un attimo di non essere davvero vissuto?”

“Ma no…Son tutte balle. La vita è adesso, non nelle paranoie dell’ultimo minuto primadella fine…”

“Rodolfo, io voglio vivere!”

“Vivi, qualcuno per caso ti vuole ammazzare?”

“Una parte di me è già morta. E’ quella che si accontenta di tirare a campare. E’ morta Rodolfo. Non ho intenzione di farla resuscitare, per niente al mondo. I miei anni, il mio tempo, i miei desideri. Sono qui, nelle mie mani. Sono importanti. Non sono più all’ultimo posto dopo una sfilza di doveri a quali fare fronte.”

“Ma scusa, qualcuno ti ha costretto a fare la strada che ti ha portato fin qui, con un marito e dei figli da portare avanti?”

“No, ma, forse, è quella parte di me che non c’è più che aveva scelto questa vita. Ora mi ritrovo davanti qualcosa che non mi appartiene più. O che, comunque, devo reinventarmi daccapo. Non sono un mostro, né una pazza, conosco i miei doveri. Ma sono lo stesso convinta che questo non significa lasciare morire tutta me stessa o, perlomeno, le parti più care che ho, quelle che mi fanno sentire davvero me stessa.”

“Consuelo tu hai troppo tempo per fantasticare…Guarda me. Pensi che io mi possa permettere tutti questi lussi sull’ ”Essere, non Essere”? Pensi che quando arrivo al lavoro la mattina qualcuno mi chieda: “Signor Rodolfo, si sente realizzato nella nostra azienda? Vorrebbe fare qualcos’ altro?”

No, Consuelo. Tutto questo non succede nella vita di tante persone. Farsi delle domande impossibili significa, questo si, condannarsi all’infelicità. Guarda i giornali. Ti sembra che i divi della televisione siano più felici di noi? Ti sembra che non facciano una vita piena di imprevisti e occasioni mondane?

Eppure forse non sono più felici di me e di te. Sveglia Consuelo. SVEGLIA. Ti stai perdendo dietro a dei fantasmi. Esci, fai la vita che fanno gli altri e non farti troppo domande. Specie quelle a cui non sai risponderti. E così vedrai che la felicità non è poi così lontana…”

“E tu questa la chiami felicità? Questa lachiami vita? Brucare insieme al gregge e mangiare l’erba che ti fa schifo solo perché la mangiono gli altri? E poi, cosa ti rimarrà alla fine? Cosa stringerai tra le mani, nel cuore, quando non potrai più guardare gli altri per rubare un’altra risposta preconfezionata?”

“ E tu invece?! Cosa proponi? Cosa pensi di fare? Una chitarra, una canna e via, sulle strade della libertà?”

“No…No, che cazzo dici! Non hai capito niente!!”

“Invece una cosa l’ho capita. Parli, parli ma, in fondo, non sai nemmeno quello che vuoi.”

Rodolfo aveva toccato un tasto vero. Consuelo stava ancora girando in tondo. Eppure sapeva che era solo uno degli ultimi giri viziosi che aveva intenzine di concedersi.

La risposta era lì, a un millimetro dai suoi occhi.

 

L’espressione di Rodolfo era tesa, concitata, anche offesa.

Come se avesse paura di quello che – in passato – era spesso successo: la colpa veniva, in un modo o nell’altro, scaricata su di lui.

 

Consuelo vedeva con precisione quelle sfumature. Come la prima volta, come se non avesse mai avuto il coraggio di guardare in profondità la sensibilità di lui.

 

E vedeva anche i tranelli che avevano ingarbugliato le precedenti discussioni.

Talmente banali da risultare invisibili, imperscrutabili. Perfetti per caderci. Perfetti per rimanere nascosti.

 

Si sentiva un artificiere alle prese con una bomba da disinnescare.

Aveva capito il meccanismo ma non aveva ancora afferrato quale filo tagliare.

Quello rosso, del suo orgoglio; quello blu, dell’orgoglio di lui; quello verde, della rinuncia a qualsiesi miglioramento?

La strada era terribilmente chiara.

L’unico che potesse tagliare, senza provocare deflagrazioni, era quello rosso.

 

Fu doloroso. Come separarsi da un vecchio amico.

Era difficile considerarlo solamente un demone.

Era difficile… ma non aveva altra strada.

 

Come ogni mostro che si rispetti, fu più difficile la scelta che non il taglio.

Le corna mostruose (“ecco, adesso Rodolfo ne approfitterà per dire che è tutta colpa mia”) l’alito fetido (“ora su chi sfogherò la mia rabbia”), gli occhi rossi fuoco (“nessuno deve permettersi di disprezzarmi”) si trasformarono in un insetto piccolissimo che non poteva più fare paura a un bambino.

Nemmeno alla dolce bambina che Consuelo – nelle sue violente scorribande all’interno di se stessa – aveva spesso pensato di mettere in castigo.

 

“Ascolta, non sto cercando un colpevole. Nemmeno voglio darmi alla bella vita e affanculo tutto.

Ho solo bisogno di trovare un altro orizzonte. Un motivo in più per svegliarmi la mattina. Un sorriso in più daregalare ai bambini, a te, al sole, alla strada, agli altri. Tu puoi aiutarmi. Non sei uno stronzo. Forse hai solo paura…come me, del resto. Fa paura cambiare. Anche quando si lascia l’immondezzaio per il castello incantato.”

“Solo che l’immondezzaio ti da da vivere, il castello incantato solo fantasie…” proruppe Rodolfo.

“No, non è così! Forse non riesco ad esprimermi. Il castello incantato puà benissimo essere questa casa, i tuoi occhi, le grida dei bambini. Non è quello il punto.

Per esempio, vorrei sapere una cosa…mi ami ancora?”

 

Semplice no. Eppure difficile.

Rodolfo rimase in silenzio, cercando nervosamente una sigaretta. E poi l’accendino. E poi il portacenere. Si sentiva come un pugile messo all’angolo. Era ancora sulla difensiva. Lui il suo demone non l’aveva ancora smascherato.

Da fuori una leggera brezza sembrava accompagnare la coppia a superare il caldo sodffocante di quella notte estiva. Solo quello poteva fare. A superare i problemi non potevano occuparsi che loro due.

 

“E tu…cara signora filosofa…Tu, dico tu, sempre con la testa per aria. Sempre in ansia per qualche sciocchezza. Tu hai dedicato più di qualche banale momento a guardarmi? A prenderti cura di me…?

TU, tu mi ami?”

 

“Se non ti amassi non avrei nemmeno il coraggio di chiedertelo”

 

“Già, ti conosco bene mascherina. La tua strategia è diabolica. Vuoi uscirne con le mani pulite da questa storia. Già hai la tua strategia pronta all’uso. Mi aimmagino tutti i passi successivi, i titoli del giornale ^Donna innamorata, lascia il marito distratto. Costretta dall’impegno familiare a dedicarsi ai figli perde l’amore del marito.^ Fa fammi il piacere. Sono stanco di queste discussioni. Sono stanco, solamente e terribilmente stanco. E solo. Solo davanti alle mie scelte, alle mie responsabilità, ai miei doveri. Se vuoi amnda tutto a cagare. Ne ho fin sopra le palle”.

 

Forse Consuelo aveva reciso anche qualche altro filo, oltre quello rosso?

O forse era troppo tardi per evitare l’esplosione?

Comunque aver reciso il filo rosso le fu di fondamentale importanza.

Almeno per non alimentare con la sua rabbia il fuoco che divampava.

 

“Se volessi lasciarti, perché darmi la briga di stare qui a parlarne?” ribattè.

“Anche tu hai una coscienza da mettere a tacere. E stai solo cercando di crearti un alibi.”

 

“Ok, ok, non fa niente.” era conscia che non poteva trarne un ragno dal buco.

 

“Lasciami in pace. In pace…Tu non proponi mai niente. Vuoi sempre e comunque qualcosa in più. Per te qualunque cosa è sempre e soltanto poco rispetto a quello che vuoi. Cosa dai tu a me, per chiedere tutto? Cosa mi rimane? Cosa ? Un bel calcio in culo e chi si è visto si è visto. Ora la legge è sempre dalla parte delle donne. Sembra che noi uomini non facciamo altro che andare a puttane dalla mattina alla sera e le povere donne lì, a lavorare come delle schiave dietro alla casa e ai bambini. Ma quando finirà questa favola? Quando? Quando qualcuno mi ringrazierà di fare un lavoro che mi fa schifo solo per portare i soldi a casa per tutta la famiglia. Quando qualcuno si chiederà se la sera sono stanco, se la giornata è statra pesante o leggera, se ho voglia di stare da solo, se la mattina mi alzo con la tristezza nel cuore? Quando? Tutto quello che mi chiedi è se ti amo. E no. E’ troppo comodo, troppo facile.

Io a questo gioco proprio non ci sto più.”

 

Consuelo lo guardò seria. Non erano tutte cazzate quelle che vomitava fuori il suo orgoglio ferito.

E guardò l’orologio: tra quaranta minuti sarebbe finito il giorno. Non aveva molto tempo.

 

"Strano..." pensò piano Consuelo, quasi paurosa che anche i pensieri fossero uno di quei fili nascosti collegati all'ordigno.

"...dovrei essere tesa, in ansia, il tempo sta scadendo e non ho concluso nulla...strano non sono tesa, nè sento in bocca il sapore amaro della rinuncia...strano"

 

L'unico che non sentiva nulla di strano era Rodolfo.

Per lui quei discorsi erano  solo dei rospi da buttar giù.

Non era la prima volta che Consuelo cercava un dialogo del genere.

E Rodolfo aveva raffinato la sua "tecnica di sopravvivenza". Era così che si sentiva in quei momenti. Un terribile senso di impotenza e di soffocamento diventava il padrone della sua mente e, per lui, l'unica parola adatta per descrivere il suo esserci era "sopravvivere".

Col tempo - urlata dopo urlata, litigio dopo litigio - l'unica cosa che era evoluta era la sua abilità a controbbattere, a divincolarsi, a troncare la discussione il più in fretta possibile. Non avrebbe cercato altro che la fine, la fine di quella terribile sensazione.

Rodolfo non era uno stupido. E nemmeno una persona superficiale.

Aveva solo paura. Paura di riconoscere tutto quello che aveva trasformato il suo matrimonio in un inferno - nel peggiore dei casi - e in una palude -nei momenti più positivi.

E, anche indossando gli occhiali della rabbia e dell'insoddisfazione, non poteva escludere se stesso da quel problema, pensare che non avesse la minima responsabilità.

Tutto questo, purtroppo, succedeva sempre "dopo". Dopo che l'inferno era passato e si ritrovava solo con se stesso. A quel punto si riprometteva, con puntuale regolarità, che avrebbe fatto qualcosa, che quello che poteva cambiare di se stesso l'avrebbe cambiato...che "domani" sarebbe stato diverso.

In definitiva, quello che più di tuto ricercava era che "domani" non avesse trovato nessuno a fargli vedere che qualcosa non andava traa di loro. Il resto si sarebbe aggiustato col tempo. Del resto che cosa poteva fare? Fingere di provare calde emozioni ormai sopite. O rimproverare sua moglie di non avere più sorrisi per lui? O, semplicemente, di non avere più vent'anni?

 

Consuelo lo guardava, con tenerezza.

Era davvero un gradino più in su e il suo punto di vista era più vasto.

Aveva smesso di odiarlo. Aveva messo da parte quel sentimento ricorrente con fatica.

Ma adesso era contenta. Sapeva che non era proprio la strada giusta.

Odiare lui significava o, col tempo, avrebbe significato, odiare i suoi bambini.

Quest'intuizione che, a mente fredda, avrebbe certamente ripudiato come retaggio di chissà quali sensi di colpa, era emersa a poco a poco. Senza particolari ambizioni psicanalitiche-culturali. Era frutto solo del suo guardare, del suo osservare i visi di Rodolfo, dei bambini..ed anche il suo.

In definitiva quei bambini non sarebbero potuti nascere da nessun'altra combinazione. Rodolfo, il padre, non era solo un donatore occasionale del seme...no, era suo padre.

Con un altro uomo, forse, avrebbe avuto lo stesso dei bambini ma, di certo, non sarebbero stati Luca e Roberta.

E lei era la madre di Luca e Roberta. Non sarebbe voluta essere la madre di 2 bambini qualsiesi. No, anche in cambio della vita più bella del mondo. Era lì il suo posto, quelli i suoi figli, suoi e di Rodolfo. Non avrebbe potuto odiare Rodolfo senza odiare un po' anche loro. No. I loro sguardi, il loro modo di ridere, come correvano, come guardavano a terra quand'erano tristi...non era solo roba di lei.

Si, ok. Avrebbe potuto anche separarsi. C'aveva pensato e, ora, non le faceva più tanta paura. Ma odio no. Non ne voleva provare. Era lì che premeva per essere soddisfatto ma Consuelo era diventata più forte. Non si negava, non si travestiva da "brava mogliettina", ma non aveva più bisogno di odiare. Perchè aveva deciso. Anche se le lancette dell'orologio sembravano voler scandire inesorabili il tempo della sua sconfitta.

A Consuelo sembrava di maneggiare il tempo come polvere d'oro.

E come l'oro, non l'avrebbe buttato in pasto all'ansia in agguato, come l'oro l'avrebbe ammirato scorrere tra le dita della mano, anche a costo di perderne qualche granello.

Così stava facendo. Stava guardando il fumo che viveva regale la sua breve esistenza, e dopo un attimo, lo vedeva morire, assorbito dall'aria attorno.

Erano attimo d'oro. Gli ultmi prima di dover ammettere a se stessa l'ennesima sconfitta o regalare al suo domani la prima vittoria. Eppure non poteva perdere qualla visione, no voleva rinuciare alla magia di quel silenzio. Non voleva continuare a inquinare quella casa con parole, parole, parole, parole, parole.

Adesso stava per fare qualcosa di diverso. E anche se avesse creato parole, sarebbero stai soprattutto suoni, soprattutto vibrazioni, e avrebbero parlato così, semplicemente, rinnegando qualsiesi ragionamento, sia pur vagamente complicato. Avrebbe parlato... si forse era inevitabile. Ma  ciò chje avrebbe detto sarebbe stato sicuramente diverso dalle parole che aveva vibrato in tanti anni di contine ed inutili repliche.

E non avrebbe avuto bisogno del tempo. No, le cose erano lì, sarebbe bastato poco.Quei venticinque minuti erano tanti. Ora avrebbe giocato con il fumo, avrebbe vagato con lo sguardo al di là della maschera da Cerbero di Rodolfo. Avrebbe goduto di ogni sfumatura di quei momenti. Perchè erano dei bellissimi momenti quelli che precedevano la sua prima, sospirata, faticata vittoria. Era assolutamente convinta, non c'era spazio per il pensiero della sconfitta. Per lei era la prima volta, la prima volta che non aveva lasciato nemmeno uno spiraglio al dubbio, al riparasi da una possibile sconfitta con il pensiero del "peggio". No, avrebbe vinto e quelli erano i momenti più belli. Dopo la vittoria, si guarda sempre a qualcos'altro che si vuole raggiungere e il sapore del successo svanisce in fretta.

Per lei, invece quelli erano momenti assolutamnet "suoi"; anche il reale veniva dopo. Era solo sua la scelta di vincere, a dispetto di qualsiesi destino duro.

Il reale, ora, non aveva il permesso di interferire. Dopo la mezzanotte avrebbe accettato il risutato ma, in quel momento, era solo lei la padrona. Lei e la sua folle convinzione.

 

Rodolfo la guadava. Era affascinato e impaurito.

"E' pazza. E' solo una povera pazza....Guarda, guarda...sorride da sola...Dio che scema...Eppure mi trasmette qualcosa di diverso....Ma no..sicuramente sta escogitando qualche altra frecciata. Di quelle pesanti, imprevedibili, cattive....non mi freghi mascherina..."

 

Era un gioco di sguardi.

Era più importante delle parole.

 

Eppure nelle loro menti affioravano, frasi mai rilevate, spezzoni di discorsi impossibili, ammissioni esplosive. La colpa viaggiava tra lui e lei come un pipistrello impazzito.

 

I pipistrelli non vedono con gli occhi, sentono con un radar la posizione degli oggetti nello spazio: così tra di loro la tensione era così alta che anche il guardare sembrava superfluo.

 

Consuelo ripensava al suo incontro con Mirko, qualche settimana fa, e poi alle telefonate, al sottile filo che, inconsapevolmente, si stava creando tra i due.

 No, non era innamorata. Era più che altro sorpresa.

Sorpresa che poche semplici attenzioni di lui avessero aperto un vortice dentro di lei.

Era stupida di quanto potesse essere affamata di una parola carina, di un apprezzamento sincero, di un “come stai” detto col cuore.

 

Si, era questo che la spaventava: era sul punto che pur di colmare il suo bisogno d’amore, avrebbe accettato la prima proposta in arrivo. Forse non era il caso di Mirko. Ma era un segnale, un segnale che la preoccupava. Consuelo non aveva mai tradito Rodolfo. Mai. Ma non per un rigido moralismo, solo che non era mai capitato nulla di importante, né lei si era mai cercata l’occasione.

 

Ora era lì, di fronte al suo bisogno. Di fronte all’ennesima sfuriata. Di fronte alla banalità di centinaia di coppie: tirare a campare, cercarsi qualche storiella extra e fare finta di niente.

 

No, non era questa la promessa che aveva fatto a se stessa.

 

Rodolfo la guardava in cagnesco. Avrebbe difeso con le unghie e con i denti la sua persona da ogni eventuale – anche se solo vissuto come tale – attacco.

 

Consuelo pensò a un proverbio che ogni tanto le ritornava in mente, specie in momenti come questo: “La coda è sempre la più dura da scorticare”.

Si, su quello era convinta. Era l’ultimo atto, anche se non sapeva ancora quale dramma si sarebbe chiuso - se la sua storia con Rodolfo o la palude che impantanava il loro cammino.

 

Lasciò andare lo sguardo fuori della finestra. E così i suoi pensieri vagavano stupidamente sui tetti dei palazzi, sulla luna nascosta dalle nuvole, sui lampioni, spettatori indifferenti di quella notte.

Eppure, in quel fondo di sofferenza, non mancava di sentire una strana tranquillità.

Era la sua promessa: quel giorno non sarebbe passato invano.

 

Rodolfo era rintanato nella parte dell’offeso, si sentiva un giocattolo rotto che Consuelo stava solo aspettando di gettare via. Era affezzionato al suo viso, alle sue parole, al suo sguardo. Ma aveva troppa paura: aveva solo paura di perderla, che voglia di recuperare una relazione incrinata.

E sentiva il peso della sua responsabilità.

Vedeva tutte le occasioni mancate, tutti i discorsi a metà che incombevano come sciacalli su quella notte d’agosto.

 

Forse avrebbe solo voluto buttarle le braccia al collo e sentire il suo viso caldo sul suo.

Ma l’orgoglio lo fermava. Quando in passato aveva lasciato quell’istinto fluire verso di lei, si era sentito ribattere che i problemi irrisolti non si potevano risolvere con una scopata.

Era convinto che Consuelo non lo capisse. Che non lo stimasse. Che l’avesse archiviato in quel cassetto, così comune tra le donne, pieno di stereotipi preconfezionati: “maschio insensibile sessuofobo egoista pantofolaio”. E lui era terribilmente arrabbiato al pensiero di essere ridotto ad un modello in cui non si riconosceva.

 

E la guardava. Aspettando qualcosa. Con lo sguardo basso di chi sa, in fondo, di non avere nulla che lo può consolare o far tornare indietro nelle sue conclusioni.

 

Quindici minuti a mezzanotte. Quindici, non 30 o 50 o 60. Quindici. Pochi per un discorso. Molti per una decisione.

 

Ma era possibile mettere in movimento il loro universo interiore in 15 minuti ?

Era possibile un vero cambiamento ?

Consuelo scommetteva di si.

Aveva maturato la convinzione che, dopo anni sempre uguali di numerosi tentativi infruttuosi, non era certamente una questione di tempo.

O meglio, non era questione di lasciare che il tempo guarisse e aiutasse a capire, quanto era necessario scegliere il tempo, appropriarsene, crearlo e andare oltre.

 

Non c’erano amici, consigli, parole affettuose, pacche sulle spalle che potessero aiutarla.

La sua vita era inevitabilmente tra le sue mani. Ed era sola davanti al baratro.

La sua promessa aspettava severa di essere rispettata. E così la bambina che sgambettava dentro di lei.

 

No, non l’avrebbe delusa.

 

“Ascolta Rodolfo…Qualcosa dobbiamo fare. Tu sei felice?”

 

“Che domande!? Che vuoi, che mi metta a ballare il tango? Che ti regali dei fiori? Che sia bello sorridente e soddisfatto come gli attori della pubblicità?

Se è questo che vuoi…No, non sono così. La vita è dura. A volte bisognaritagliarsi uno spicchio di gioia in un mare di delusioni. Altre bisogna venire a patti con se stessi, con le proprie idee. Una cosa è certa: non è mai così semplice e non credo nella felicità. Nessuno è felice e chi dice di esserlo o mente o è troppo cretino per guardare la propria miseria.”

 

“Ok, allora…mettiamola così…sei felice con me?”

“E tu? Non è che mi fai tutte queste domande solo perché non sai risolvere TU i tuoi dubbi?”

 

“Non stare sulla difensiva. Lo so, spesso ti ho messo alle corde e ci siamo feriti a vicenda senza cavarne un ragno dal buco. Ma ora no. Non ho più tempo. Non ho voglia di soffrire, almeno senza alcun altra prospettiva se non quella di combattere…”

 

“Consuelo. Io non devo difendere proprio niente. Tu ti gingilli con il tuo esistenzialismo ma io, praticamente, non ho nulla da rimproverarmi. Non ti ho mai tradita. La mia vita è qui accanto a te. Non sarò il top dei mariti ma, stanne certa, già il fatto di non averti mai tradita ha un significato. Specie se ti rendi conto che, là fuori, il mondo gira diversamente.”

 

“Si, lo so…ma non è solo questo quello che tiene insieme due persone. Non è un contratto che rispettiamo giorno per giorno, o, perlomeno, c’è anche dell’altro. C’è la voglia o la noia di vedersi.

C’è la complicità o l’estraneità l’uno verso l’altro….ci sono tante cose….E non è vuoto esistenzialismo. Anch’io, spesso, mi sono interrogata se tutti questi dubbi e queste domande avessero o no, una loro consistenza. Ma sai, stiamo parlando di relazioni, di sentimenti, di quanto di più sfumato esiste. E, anche se non si può toccare l’amore, la sofferenza, la gioia, la felicità, l’infelicità….esistono, specie se ne sentiamo l’effetto sulla nostra vita. Non siamo dei forzati….non possiamo imporci una convivenza solo perché abbiamo firmato qualcosa come un contratto. Non è solo quello. Cazzo, ma perché è così difficile spiegarti…”

Era il primo momento in cui Consuelo aveva perso davvero la calma. Era terribilmente arrabbiata che la discussione avesse preso la solita piega di sempre. Era una cosa che assolutamente non voleva.

Sent’ qualche singhiozzo salire dalla gola, ma lo rimandò giù.

Lo guardò supplicante: voleva essere ascoltata, per una volta; almeno quel giorno quel piccolo-grande scoglio doveva sciogliersi. La disperazione non avrebbe vinto.

 

“Ok, diamo per scontato che non siamo felici. Cosa pensi di fare?”

 

“Non lo so. So solo che non posso fare tutto da sola. Non posso inventarmi domande e risposte.

Non posso dare per scontao che siano solo mie fantasie, che in realtà tutto vada bene. No, non è così.

E io non sono una pazza viosonaria o semplicemente una donna annoiata e insoddisfatta.”

 

“Perché non ti prendi una vacanza? Forse il problema è solo la routine…mi occupo io dei bambini…”

 

“No. Io stasera troverò una risposta. Una prospettiva, la strada da percorrere, il punto cruciale di questa sofferenza. Ma non voglio fuggire. Non voglio fare finta di niente e aspettare che il tempo lasci scivolare altra polvere sulle nostre vite. Di questo ne sono certa.”

 

“Auguri”

 

“Come sei carino. Non potevo aspettarmi di più da te.”

 

Rodolfo tacque al riparo dai dubbi e dai problemi. Lo difendeva il suo cinismo di facciata, la sua real-politik…ma in fondo capiva che Consuelo non era una visionaria. I problemi di lei erano anche i suoi e, forse, erano soprattutto i suoi. Ma, visto che c’era qualcuno che se ne stava occupando, perché preoccuarsene? Squallido, ma i meccanismi del pensiero spesso non brillano per generosità e compassione e, forse, erano pensieri inconsci.

In effetti Rodolfo non era poi così freddamente calcolatore.

 

Consuelo rimase in attesa. In attesa di un suono.

Aveva imparato ad ascoltare la sua mente e aveva fiducia che, piuttosto che dare fondo alle risorse intellettuali del suo cervello, doveva iniziare a  frenare le elucubrazioni e lasciare spazio all’ascolto.

Aveva fatto esperienza che, quando la mente  le prospettava vicoli ciechi bisognava avere pazienza e aspettare.

La mente è una “cosa” particolare. E’ immensa e profonda. E’ infinita. Ma, a volte, è terribilmente cinica e gretta, quando serve a giustificare un fallimento.

 

Consuelo lasciava che il suo sguardo vagasse sugli ultimi passanti che andavano in discoteca, che tornavano dai bar, che chiacchieravano allegramente.

“Ecco, questa è la vita. E’ la vita fuori di questa casa. E’ qualcosa che non mi sono mai concessa.”

 

L’aver spostato l’attenzione su qualcos’altro aveva spalancato una porta.

 

“Ma si…ho trovato. Ecco il nocciolo del problema. In fondo, a pensarci bene, non mi sono mai concessa il lusso di essere felice. Di essere spensierata, nemmeno a parlarne, tropo futile. Eppure perché devo vivere una vita indossando un inutile lutto? Perché, qaundo c’è la benchè minima possibilità di provare gioia mi devo creare qualche problema per cui la gioia nono è possibile?”

 

Eppure era duro. Era duro ammettere che – forse – l’unica persona che aveva sempre detto di NO alla felicità era lei stessa.

E ora? Ora cosa avrebbe fatto?

 

Era il caso di irrigidirsi nell’arrivare, in ogni caso, ad una soluzione in quello stesso giorno, oppure doveva la pazienza di aspettare…il suo suono?

 

Fino ad allora il solo suono che aveva padroneggiato era quello dell’orologio.

Strumento ipnotico. Severo vigile della sua promessa.

 

Consuelo aveva paura.

Aveva paura che rimandare al domani sarebbe stata solo la premessa per un infinito rinvio, per una sostanziale rinuncia alla sua nuova vita.

 

Era triste. Non aveva concluso “ancora” nulla.

Era felice. Aveva capito. Aveva profondamente capito che il viaggio era dentro

 

L’orologio scoccò la mezzanotte.

 

La giornata era finita.

 

 

Fine