Rodolfo arrivò un po’ in ritardo. Come al solito.
Del resto era difficile che riuscissero a mettersi a tavola ad un
orario decente anche quando lui arrivava più presto.
Consuelo aprì la porta con un mezzo sorriso. Rodolfo trafelato entrò,
lasciò la borsa nell’ingresso e scappò in bagno: “Pipì, pipì…presto!”.
Come al solito.
Consuelo era prigioniera in un gioco di specchi. Guardava se stessa
e gli altri quasi dall’esterno e, cosa ancor più sorprendente, tutta la scena perdeva ogni banalità e diventava soffusa
da una distaccata dolcezza.
Se Consuelo fosse stata davanti a un film, avrebbe avuto lo stesso
moto di calda compenetrazione. La sua lucidità era straniante. Tutto quello che fino a qualche attimo prima le sembrava l’ennesima
replica di una “serie” infinita, ora le appariva nella sua sottile poesia, come un film d’autore unico e
irripetibile.
Consuelo aveva letto qualcosa delle esperienze post-mortem. Ecco,
se avesse dovuto comunicare quello che sentiva, avrebbe certamente detto: “Come l’anima fluttua attorno al corpo
dopo la morte, così sono io adesso: vedo il corpo di Consuelo che cammina, sorride, parla…ma è morta. Io sono qui, in
un’altra dimensione e sono io la giusta faccia della medaglia. Eppure, tutto sommato, era dolce la vita laggiù…”.
La cena, i bambini, Rodolfo, la TV, la luce del giorno armai latitante,
quella delle lampadine, sempre più padrona dello spazio. Consuelo mangiò in fretta e si dileguò subito. Era l’ora della
videomeditazione…a lei piaceva chiamarla così la sua oretta di svago con giochini idioti. Era il suo mantra per lasciare
a briglia sciolta la mente e osservare i pensieri che si cancellavano come le palline colpite dalla sua pistola virtuale.
Quella sera si aspettava di più da quel monitor. Avrebbe voluto che, come un oracolo, il pc avesse dato il responso sulla
sua malattia, anche se avesse dovuto parlare per metafore, anche se il sacerdote avesse dovuto camuffarsi da quel jolly diabolico
che sparava le palline. E così il mantra si era sporcato di troppe aspettative e la sua mente rifiutava di mostrare la lungimiranza
della sua anima infinita. Consuelo era insoddisfatta. E cercava un segno. Un segno che le dicesse inequivocabilmente cosa
avrebbe dovuto fare.
La giornata stava finendo. E il tempo che si era concesso pure.
Eppure non provava ansia. Consuelo aveva sempre mantenuto le promesse, anche quelle a se stessa, anche quelle più dure, anche
quelle che avevano cambiato drasticamente il suo passato e che ora si riflettevano severe sul suo presente.
Adesso era il suo futuro che stava osservando e anche allora era
il momento di rispettare la sua promessa: uscire da quella palude in quella giornata, senza più proroghe, se, ma, scuse, testa
nella sabbia e amenità del genere.
Consuelo e il suo sguardo affettuoso sulla sua vita, sulla sua mente
stanca, sulle sue mani segnate. Consuelo si stava alzando. Questo lo sapeva. Ancora non sapeva che cosa avrebbe fatto.
Ma non c’erano dubbi: la palude si sarebbe sciolta ingoiata
dalla sua scelta, qualunque essa fosse stata, qualunque prezzo avrebbe dovuto pagare.
Consuelo, strana bambina, strana bocca, strane parole quelle che
si mischiavano leggere alle immagini della sua mente.