Time4TheOther

Ipotesi di miglioramento Capitolo VI

Prima serata

Family Circa 1950

Avrebbe dovuto portare i bambini giù a giocare ma non l’aveva fatto.

Loro volevano stare in casa e così Consuelo aveva preso a volo l’occasione per starsene un po’ tranquilla.

 

L’orologio camminava con il suo solito ritmo.

 

Non così il cuore di Consuelo.

 

Non era tranquillità quella che cercava ma uno stimolo, un’indicazione, un segnale.

 

Agosto è avaro. Agosto è povero di presenze. Agosto è caldo.

 

La televisione era spenta ma, col caldo che c’era, i pochi sopravvissuti al paradosso del deserto-città non potevano fare altro che accendere il televisore e tenere le finestre aperte.

E così anche nella sua casa era distinguibile la follia di un gioco a quiz che non faceva altro che alternare applausi, risate e grida isteriche.

 

Del resto era un segnale di vita.

A parte lei e i bambini, c’erano altre persone a Milano?

 

Tra un po’ sarebbe arrivato Rodolfo.

 

Aveva voglia di vederlo?

Era da tanto che non si faceva una domanda del genere.

L’ultima volta che si era posta un interrogativo di questo tipo risaliva a quando ancora non erano nati i bambini, forse dopo qualche litigio.

 

Rodolfo faceva oramai parte della sua pelle.

E’ difficile chiedersi se uno ha voglia di vedere la propria pelle.

E forse era quello il problema: non distinguere, non vedere più l’altro, la  sua diversità,  i suoi   pensieri – l’altro è solo una nostra propaggine.

 

Rodolfo sarebbe arrivato. Era inutile domandarsi se la cosa era o no di suo gradimento.

Come l’alba. E’ inutile chiedersi se si ha voglia di affrontare la giornata. Il sole è lì e corre anche senza la nostra approvazione.

Giusto? Boh. Era, tutto sommato, una tecnica di sopravvivenza.

In quella giungla, dove già era difficile sgusciare fuori dai guai le sembrava impossibile crearsi anche dei rebus inutili o, comunque, guardare le cose che comunque sarebbero avvenute a dispetto dei suoi sentimenti.

Folle? Forse no. Forse si.

 

Consuelo l’aveva voluta quella famiglia. Nessuno l’aveva costretta.

Eppure adesso non le sembrava più sua.

Le sembrava un lavoro dal quale non poteva più licenziarsi.

 

Chi avrebbe potuto ascoltare le sue parole?

Rodolfo?

No. Era inutile. Che cosa poteva mai dirgli? Che ne aveva piene la palle di…qualcosa che nemmeno riusciva a capire?

In fondo era una brava persona. Non la tradiva. Aveva i suoi difetti ma nessuno talmente grave da farglielo sentire un estraneo da evitare.

Forse quei pregi che apprezzava all’inizio, con l’andar degli anni gli erano sembrati sempre più banali, non più fondamentali per le sue aspettative e per la sua evoluzione.

A volte avrebbe voluto tradirlo. Non tanto per il brivido della novità, quanto per capire davvero se l’amava ancora.

A volte avrebbe voluto essere tradita. Forse per avere un motivo valido per mandare tutto al diavolo.

 

Il telefono squillò.

 

Era Rodolfo.

“Ciao”

“Ciao” rispose Consuelo

“Tutto bene?”

“Si… a che ora torni?”

“Verso le nove…OK?”

“Si…”

“Tutto bene ?!”

“Si…ho solo un po’ di mal di stomaco” mentì Consuelo.

Avrebbe voluto dire “questa vita mi dà allo stomaco”.

“Cerca di rilassarti. Tra poco sarò a casa.”

“Ok, non preoccuparti”

 

Consuelo posò piano la cornetta.

Tutto perfettamente uguale a centinaia di altre sere.

Ma era la prima volta che ci pensava.