Presto
celebreremo il santo Natale, la fine di questo anno terribile e l’inizio del
duemiladieci.
Questo
è un
momento particolare, dove tradizione e ritualità religiosa si confondono,
scambiandosi sapientemente la maschera. Le luminarie, gli abeti coperti da
addobbi multicolori, le bancarelle dei mercatini prese d’assalto dalla gente,
creano un’atmosfera fiabesca. In chiesa, invece, si respira un’aria di
rinnovata carità cristiana, resa più concreta dalla presenza del presepe. Tutti
si ripropongono d’essere più buoni, almeno in questo breve lasso di tempo.
Chi
ha trascorso
gli ultimi sette mesi, ospite non pagante d’una stanza d’albergo, si chiede
perché vogliano offrirgli una soluzione abitativa diversa che lo riconduca ad
un’esistenza più aderente alla realtà, lontana dal ricordo di quel maledetto
terremoto del sei aprile scorso.
Si
ricomincerà a
pagare per avere i servizi necessari nella nuova abitazione, a comperare il
cibo e gli indumenti per coprirsi, si tornerà, in poche parole, ad una pseudo
normalità.
Sembra
quasi che
qualcuno voglia ignorare l’imminente arrivo del Natale, procurando inattesi
grattacapi a poveri sfollati.
Una
nota
dissonante in questo concerto in onore dell’apparenza. L’accettazione supina
delle avversità è anch’essa un malessere, una patologia mentale da curare o,
forse, da prevenire. Torniamo ora alle prossime feste, alla loro capacità di
stupire, usando l’innocente credulità dei bambini, come amplificatore di una
serie di eventi irripetibili. Nella fredda paglia d’una mangiatoia si celano
oggetti, inneggianti al più sfrontato consumismo. L’imperativo è: dilapidare i
pochi denari, guadagnati lavorando duramente, per acquistare oggetti
senz’anima, privi di qualsiasi valore.
Conosco
una
famiglia bisognosa e, anche per le prossime ricorrenze, occuperà un posto al
mio tavolo. Cosa ci accomuna? Niente di particolare. Basteranno i silenzi
rumorosi dei loro bimbi e l’amore sempre palpabile che lega i genitori. Il
tutto pervaso dalla prepotente determinazione di Maria, la mia sposa, a volermi
vicino fino all’ultimo e la gioia che provo nel sentirla totalmente mia.
“Buone
feste!”
ci augureremo, vestiti solo dei panni che l’umiltà dispensa quotidianamente.