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L'inquietante essenza di Lalla

di Alarico Bernardi

Il sole faceva capolino tra le creste dei monti lontani, mentre Lalla tornava a casa.

Aveva trascorso una notte memorabile con Alain e si ripeteva che non avrebbe dovuto continuare ad incontrarlo. Le parole dell’uomo, gli abbracci, l’intensità di quelle ore dovevano essere cancellati. Nulla poteva distoglierla dalla decisione presa qualche mese prima: condurre una vita solitaria, banale, priva d’ogni turbamento. Una sorta di difesa da se stessa, da quell’indole imprevedibile e irrazionale che aveva segnato un’esistenza, costellata da errori e da valutazioni superficiali.

L’aria nebbiosa di quel mattino d’ottobre le gelava il viso, colorandole di rosso la pelle levigata delle gote. Un inatteso brivido di freddo le percorse per intero la schiena, lasciandola senza fiato per qualche interminabile secondo. Un timore ingiustificato e irragionevole la paralizzava, impedendole di raggiungere la meta. Era lì, sul ciglio della strada, abbagliata dai fari delle poche autovetture che transitavano nel quartiere.

Perché non tentare, a quale scopo rinunciare a vivere, chi  glielo avrebbe potuto impedire?

Nessuno, ma l’ambiente pettegolo e gretto nel quale era cresciuta costituiva un serio ostacolo a qualsiasi trasgressione. La calunnia era in agguato con le sue chiacchiere, con l’immancabile pratica dell’esagerazione, aspettando solo qualche passo falso, un gesto che contravvenisse alle inconcepibili regole, tipiche della mentalità bigotta e del perbenismo, dilaganti in quella cittadina di provincia. Lalla subiva un plagio psicologico e, nello stesso tempo, tentava di reagire.

Non era incline alla resa, specialmente nel momento in cui aveva la sensazione d’aver trovato il vero amore.

 

Alain era completamente cieco da circa dieci anni e questo creava un ulteriore motivo di curiosità nelle menti chiuse e intolleranti dei cuneesi.

Un’altra buona ragione per permettere alla comunità di giudicare le scelte altrui, di fantasticare su fatti che, in fin dei conti, riguardavano solo ed esclusivamente i due innamorati.

 

Intanto Alain, svegliatosi di soprassalto, cercava con la mano la compagna di quella notte fantastica.

Non trovandola, gli sembrò di perdersi tra le lenzuola, di annegare nella solitudine che lo aveva angosciato sino a pochi giorni prima. Lei era andata via e, forse, era stato un bene non avvedersene, non sentirsi schiacciato dal peso della diversità.

Il pensiero corse al passato, a quando, sedotto dalle menzogne di Maria, s’era bruciato le ali in un volo imprudente, simile a quello d’una falena che sfiora la fiamma, attratta dall’accattivante bagliore della fine. La delusione iniziava ad insinuarsi nella sua mente, portandolo a conclusioni pessimistiche, accompagnate dai cupi rintocchi della campana della chiesa vicina.

S’era ripromesso di non frequentare più donne impegnate in relazioni sentimentali di qualunque genere e Lalla era impegolata in una dubbia storia di convivenza con un uomo di malaffare.

Come era potuto accadere, cosa l’aveva spinto a lasciarsi andare alle provocanti carezze della donna? Una sorta d’attrazione irrefrenabile aveva guidato i suoi gesti, mentre l’animo s’era smarrito in un languido ed inesorabile abbandono. Quella separazione lo turbava, rendendogli insopportabile il buio in cui era ormai costretto a vivere. Quella di Lalla era stata una fuga, una vera e propria fuga dal luogo dove s’era consumata una passione irrefrenabile, esaltante, fuori dalle convenzioni. L’avrebbe rincontrata, si sarebbero amati ancora, cosa l’aveva spinta ad allontanarsi?

Accese una sigaretta e si mise in piedi, dirigendosi verso la cucina. Preparò rapidamente del caffè, sorseggiandone una tazzina abbondante.

Doveva raggiungere il posto di lavoro, ma non riusciva a distogliere il pensiero da quanto gli era capitato. Fu tentato di telefonarle, ma si convinse a non farlo, contando sulla sincerità della donna che lasciava sperare in un incontro chiarificatore.

Dan, un Labrador dal pelo nero e lucido, si avvicinò ad Alain, sfiorandogli il ginocchio con il muso. Da buon cane guida confermava l’assiduità della sua presenza, mentre ricordava al padrone l’interesse per le mele, contenute nel cesto appoggiato sulla credenza.

 

Nello stesso momento, Lalla aveva raggiunto il giardino antistante la propria abitazione.

Tra il verde brillante dei cespugli di bosso,  spiccava il pelo rossiccio e arruffato d’un gatto che sembrava l’attendesse con impazienza.

“ Ciao Otello! Andiamo a casa!” esclamò con dolcezza la donna, piegata sulle ginocchia, in modo da controllare meglio i movimenti di Oty. Il felino le si avvicinò agilmente, seguendola nell’androne della palazzina. Una volta che furono al quarto piano, entrarono nell’appartamento, immerso ancora nella semioscurità. L’arredamento sobrio ed elegante raccontava la finezza d’animo della persona che viveva tra quelle mura, rivelandone l’indole bizzarra e creativa, insofferente alle consuetudini.

Oty s’avventò sulla ciotola del cibo, divorandone il contenuto con impareggiabile ingordigia. Perlustrò poi tutte le stanze e, miagolando insistentemente, chiese di tornare nel suo mondo, alla libertà, alla vita da randagio che sentiva essergli congeniale.

Lalla aveva tentato di farne un gatto domestico, ma senza risultati apprezzabili, rassegnandosi alle imprevedibili richieste che l’animale le rappresentava alle ore più impensate.

Il modo antropocentrico d’interpretare il comportamento di Otello non l’aiutava a comprenderne la natura indipendente e primordiale. Avrebbe dovuto intuire che, per certi versi, le abitudini di Oty erano simili alle sue, che il rifiuto di qualsiasi imposizione era comune ad entrambi.

La discontinuità segnava le loro esistenze, producendo, però, risultati nettamente differenti. L’istinto del felino si radicava nella notte dei tempi e rientrava nella più assoluta normalità, mentre il rifiuto delle regole non poteva essere compreso da chi si era preoccupato di stabilirle, tenuto conto della differenza che intercorre tra gli animali e gli esseri umani.

 

La trasgressione è sempre stata la fonte di piacere più intensa, di appagamento di tutti gli appetiti, di emozioni estreme e appassionanti. Nulla di più esaltante, ma appartenente ai sogni, a quel fantasticare che anima la recondita dimensione fiabesca, presente in ogni essere umano.

La realtà concede, a volte, delle possibilità di fuga che pretendono puntualmente il pagamento d’un caro prezzo.

 

Al contrario, le regole erano state elementi fondamentali dell’educazione di Alain.

La severità paterna aveva forgiato un carattere forte e determinato, capace d’affrontare le più svariate situazioni che il destino è solito proporre. Ma lo spirito di ribellione covava all’interno dell’uomo, dando corpo ad una personalità poliedrica, geniale e creativa. Una sorta di lucida follia, di tanto in tanto, veniva allo scoperto, disorientando coloro che pensavano di conoscere bene il pacato e riflessivo Alain. L’handicap di cui era portatore ne faceva paradossalmente un fuoriclasse, mentre l’incoscienza lo catapultava al centro di storie che rasentavano l’inverosimile.

L’estrema sensibilità, invece, gli aveva procurato non poche angosce che riusciva a smaltire a stento, subendone le immancabili conseguenze.

Non si sarebbe arreso alla prima complicazione, non avrebbe capitolato affrettatamente, sperando che la ragionevolezza tornasse a consigliare Lalla, a farle capire che era giunto il momento del raziocinio, senza nulla togliere all’improvvisazione, al colpo d’ala che distingue la genialità dalla monotonia. Immaginava le difficoltà che lo attendevano e, proprio per questo, aveva deciso di continuare ad incontrarla, rischiando per l’ennesima volta d’infliggere al proprio sistema nervoso l’ennesimo colpo, forse quello definitivo. Non gli interessava più continuare a vivere, a trascinare un corpo nell’oscurità, tra ectoplasmi banali ed arroganti.

Chi avrebbe mai pensato che lui, proprio lui fosse tormentato dalla menomazione che gli negava la vista del sole, della natura, del sorriso d’una donna, dell’azzurro cangiante dei flutti marini?

Non sopportava l’autocommiserazione e, tutto sommato, non si era mai abbandonato ad essa.

Qualcosa gli diceva che lei era diversa, tanto folle da fare sua l’atroce realtà che gli dilaniava l’anima. 

 

Dal solito cespuglio Oty seguiva le mosse di Lalla. Gli occhi verdi e brillanti si confondevano con i riflessi delle foglie, proiettando un bagliore di giada sul muro di cinta. La luce solare s’era fatta più intensa, restituendo alla natura quella bellezza, sottrattale crudelmente dalla notte.

La donna salì sull’automobile, scomparendo dietro ad una curva a gomito. Imboccò poi un viale alberato che l’avrebbe condotta a casa di Enrica.

 

Al terzo piano d’una villetta in stile vittoriano, circondata da un giardino all’italiana ben curato, Enrica si destava da un sonno agitato, coprendosi il viso con le mani, quasi a voler rifiutare il nascere del nuovo giorno. Le inevitabili difficoltà che segnavano da qualche tempo la sua esistenza si sarebbero ripresentate, ricordandole brutalmente la veneranda età che era riuscita a raggiungere. Due mesi prima aveva festeggiato l’ottantatreesimo compleanno insieme al figlio Bruno ed al fratello Claudio. Il ricordo di quel giorno la ossessionava, riproponendole con cattiveria il ricordo dei momenti felici e spensierati della giovinezza.

Nell’attico aleggiava la morte, pronta a ribadire la propria presenza in quella delicata circostanza, irridente e crudele, esaltata dal terrore che solo lei era capace di provocare nella mente confusa della pensionata.

Il suono discreto del campanello pose fine a quel tedio.

Lalla varcò l’uscio, mostrando un sorriso rassicurante.

“ Buongiorno Enrica! Fuori l’aria è un po’ fredda, ma la giornata invita ad uscire. Le andrebbe di fare quattro passi lungo il viale?” esordì, guardandosi intorno rapidamente.

Si diresse senza indugi verso le finestre, scostando i pesanti tendaggi che impedivano al sole d’entrare nell’appartamento. Il pigolio dei passeri, allora, si fece più forte, mentre i loro voli tracciavano invisibili arabeschi nel cielo turchino. Le fobie erano sparite e tutto appariva meno gravoso, inducendo Enrica a dimenticare l’incubo di quella mattinata.

 

Già da alcuni mesi Lalla si prendeva cura di Claudio, ottantanovenne, e della sorella, sacrificando ad entrambi buona parte del suo tempo libero. Quel lavoro le dava soddisfazione, la rendeva autosufficiente a livello economico, permettendole di esprimere le sue qualità: generosità ed altruismo, accompagnati da una credulità infantile che spesso l’avevano vista al centro di vicende più o meno chiare ed imbarazzanti.

 

Claudio era costretto sulla sedia a rotelle, perso in un marasma senile dal quale riaffiorava raramente, rammentando i bei tempi in cui conduceva una vita dispendiosa, tra alberghi e ristoranti di lusso. I modi da gentleman, ogni tanto, rischiaravano il grigiore stagnante nella Casa di Riposo, dove era stato ricoverato da Enrica, certa d’aver compiuto la scelta giusta per il bene del fratello.

L’uomo intuiva stranamente la natura positiva di Lalla, preferendo le sue attenzioni a quelle d’una vecchia conoscente che si recava a fargli visita, con la subdola intenzione d’evidenziare la differente qualità esistenziale in cui entrambi versavano. Una sorta di frivola gara che vedeva nel vincitore e nel vinto un’unica realtà, quella della vecchiaia. Un regresso psicologico tipico della terza età, singolare, quanto beffarda consolazione di fronte all’approssimarsi della fine.

 

Un gradevole motivetto si diffuse improvvisamente nella sala. Non era altro che la suoneria del telefonino di Lalla. Alain la chiamava per avere un appuntamento, sperando che lei accettasse di fargli compagnia in una Pizzeria del centro. La donna si dichiarò disponibile e, con una punta d’ironia, chiese: “ Ma… sei sicuro di volermi vedere ancora?”. Dall’altro capo del telefono le fu risposto affermativamente.

In quella domanda non c’era malizia, ma si notava una profonda insicurezza, una nebulosa valutazione della propria interiorità.

 

Gli uomini conosciuti prima di Alain avevano dimostrato un interesse maniacale per un corpo, lasciando ad altri la briga di entrare nel profondo dell’animo della donna, che si era prestata a concederlo, ponendo limiti dettati da un discutibile pudore.

Inaspettatamente qualcuno alzava il tiro, mirando all’inquietante essenza che l’animava, considerando anche i suoi sentimenti, temendo le sue paure. Una novità che faceva pensare, foriera d’imbarazzo, temuta e sognata da tempo.

 

Onde capricciose, simili a virgole spumeggianti, agitavano le acque azzurrine dell’Adriatico, assecondando il lieve planare dei gabbiani. Il cielo di madreperla si riverberava nel mare, propagando riflessi iridescenti. Il Palazzo del Municipio si ergeva di fronte alla scogliera, che amplificava il cadenzato rumore della risacca.

Dal portone uscirono Lalla ed Alain, a braccetto, pervasi da una sensazione di trionfo.

Avevano coronato la loro storia d’amore, rendendola ufficiale con un atto giuridico.

Nulla e nessuno li avrebbe mai divisi, memori delle gratuite malignità, affrontate coraggiosamente in passato.

A Lalla sembrò di distinguere nell’etere due parole, contornate da nubi d’argento: per sempre!

 

 

 

 

 

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