Dalila era perduta a
rincorrere dei pensieri che non riuscivo ad interpretare, mentre io, allarmato
dal visibile solco che andava disegnandosi sulla sua fronte, tentavo di
presagire la ragione di quel turbamento improvviso. La giornata s’era annunciata
splendida: il sole incerto di novembre baluginava tra i monti lontani,
dipingendo d’un rosa tenue la coltre di neve, caduta sulle vette impettite. Il
cielo, ancora immerso nella foschia mattutina, accoglieva quei primi lampi di
luce con trasporto, suggerendoci di abbandonare il calduccio del letto. L’attrazione
fisica che spesso si impadroniva di noi, però, stimolata da quel paesaggio
incantevole, incorniciato dalla portafinestra, s’era impadronita gradualmente dei
nostri sensi, guidandoli alla conquista d’un piacere intenso ed irrefrenabile.
Dopo un’abbondante
colazione, eravamo in viaggio per Racconigi, intenzionati a visitare il parco e
la tenuta di caccia della famiglia Savoia. Una volta arrivati, venivamo messi
al corrente che le visite all’interno del palazzo ed alla vasta isola di
verde che lo circonda
erano rimandate a primavera. Delusi, ma non del tutto scoraggiati, avevamo
deciso di fare una passeggiata nel giardino pubblico di Savigliano, poco
distante dalla meta originaria e luogo dove Dalila aveva trascorso alcuni anni
della sua vita passata.
I ricordi, prepotenti ed
ingannevoli, molto probabilmente l’avevano assalita, procurandole un sottile
malessere. L’immagine dei figli si proiettava nella sua memoria, assumendo una
dimensione grondante di tristezza. Il non poter incontrarli o sentirli, alla
lunga, le aveva causato un ennesimo crollo psicologico che tentava di nascondere.
La celebrazione del
nostro anniversario, in poche parole, si era trasformata in una sorta di
pellegrinaggio espiatorio di colpe non sue, un casuale recupero di vesti lasciate
con determinazione, ma stampate a fuoco sulla sua tenera pelle.
Mi sembrava inopportuno
intervenire per consolarla, come era complesso simulare un comportamento che
non lasciasse trasparire ciò che avevo colto nel suo eloquio, punteggiato da
pause significative. Avrei dovuto smentire quella mia capacità d’intuizione che
mi permetteva di leggerle nel profondo dell’animo.
Del resto non avevo né
l’età , né la predisposizione
necessarie a raccontare
fiabe alle quali io, per primo, non avrei mai creduto.