Time4TheOther
Assurdo e realtà

Le pagine di Alarico

Sono venuto alla luce il venticinque dicembre di circa duemila anni fa, ignorando quale destino mi fosse stato riservato. L’umiltà, le ristrettezze e l’assenza di tutto ciò che si definisce superfluo mi hanno accompagnato sino all’adolescenza. Per fare luce sul mio destino, iniziai a frequentare alcune coetanee che si limitavano a parlare con me, cercando nelle mie parole quei suggerimenti che speravo avere dalla loro esperienza, per molti versi differente dalla mia. Le ragazze, però, mi consideravano un dio: puro ed innocente, depositario di verità che non sapevo di custodire.

Giuseppe, mio padre, mi suggerì timidamente di evitare coloro che provenivano da un’educazione troppo discorde da quella impartitami in famiglia.

Iniziai a far parte di bande di quartiere, diventando il leader di una di esse. Scoprii così di avere carisma, necessario per osare in ogni frangente… facevo miracoli e tutti mi acclamavano come un vero e proprio nume. La povertà non mi abbandonava, spingendomi a lavorare e studiare nello stesso tempo.

Maria, mia madre, mi guardava con uno sguardo carico di dolore, misto a rassegnazione, ma non riuscivo a capirne il perché. Spesso la sorprendevo a piangere, mentre fissava una piccola croce, priva del crocifisso, appesa alla parete della mia stanza da letto. In quei momenti, alcune fitte lancinanti alle estremità mi distraevano dalle riflessioni che assalivano la mia giovane mente, assetata di conoscenza.

I profeti che si aggiravano per le chiese e per le vie parlavano dell’olocausto, della venuta del Redentore, di colui che avrebbe mondato l’umanità dalle nefandezze di cui si era macchiata.

“ Sciocchezze!” pensavo io, mentre mi divertivo a smontare quelle invenzioni fantasiose, usando un po’ d’ironia. La mia opera sacrilega mi aveva relegato ai margini della società, preda d’un buio fitto ed improvviso, calato su di me da quando qualcuno s’era divertito a spegnere il sole nella mia realtà.

“ Noi siamo l’umanità… “ continuavo a ripetere, aggiungendo: “ Chi sarà punito e chi premiato, allora?”. Nessuna risposta, niente dialogo, ma inflessibili imposizioni dai gestori del Ghetto.

Un giorno percepii la presenza silenziosa di qualcosa di animato vicino alle mie ginocchia: era un cane, sì… un cane dal portamento fiero e dalla stazza media, a pelo corto e nero. Nero perché non riuscivo ad immaginarlo d’un altro colore. Si fece accarezzare, dandomi ad intendere d’essere affamato. Gli allungai metà del mio hamburger, sperando non lo intossicasse, come succedeva da un po’ di tempo con il mio fegato.

Mi venne in mente, allora, una domanda retorica che un mio insegnante amava ripetere: “ Oggi hai ricordato di dare il pasto alle fiere?”. Consigliava di soddisfare i detentori del potere ogni giorno per essere padroni temporanei di alcuni attimi della nostra vita.

Avevo imparato, però, che i potenti non vanno soltanto nutriti, ma devono essere conosciuti. Pertanto a quella domanda rispondevo con un’altra: “ Se non hai mai banchettato con gli Dei, conosci almeno l’auriga?”. Vale a dire: se non conosci i grandi, sei almeno in confidenza con i loro autisti?

Il realismo mi aveva distratto dall’amico a quattro zampe. Se ne stava accoccolato ai miei piedi, riconoscente e desideroso d’affetto.

In quel mentre la campana della chiesetta vicina prese a rintoccare: din, don, dan e un’idea mi balenò nella mente: Dan sarebbe stato il nome di quel cagnolino, dan, come il terzo tocco delle campane! Sentivo provenire da lui una fedeltà incondizionata ed una lealtà assoluta.

La mia ultima storia amorosa s’era conclusa per mancanza di questi valori ed il cuore mi si strinse in una morsa di rimpianto. Anche lei mi aveva tradito, emarginandomi elegantemente.

Ad un tratto la mano pietosa del mio collega di lavoro Giuda mi prese le dita serrate della destra, facendomi toccare un legno duro e ruvido, dalle proporzioni considerevoli: mi donava una croce, in occasione del mio trentatreesimo compleanno…

Capii e, in silenzio, baciai l’iscariota, felice di terminare un gioco, perduto dal momento in cui era incominciato.