Time4TheOther
MIniSTERO

Ogni riferimento a nomi o a fatti è puramente casuale

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Il caso scoppio in un giorno nebbioso.

Era già un mistero come la nebbia potesse invadere la capitale. Come si permetteva il Padreterno di oscurare la bellezza della città eterna?

E così da cosa nasce cosa….da mistero nasce mistero…



“La lettera che arrivò quel giorno sulla mia scrivania era apparentemente perfetta…anche lo stile, ad una prima occhiata, era il medesimo di tante altre che giacevano stanche dell’attesa.

Mi faceva tenerezza guardare il mucchio di corrispondenza inevasa. I fogli sembravano tutti omini pazienti in fila perché il mio sguardo clemente potesse dare udienza alle lettere ballerine che chiedevano, ora con allegria, ora con sarcasmo, ora con un’apparente educazione da valzer asburgico, una attenzione che da troppi mesi aspettavano dai miei occhi miopi.

Era lì che si giocava il mio potere: nel rimandare, nel dare ai fogli il minimo del mio tempo, perché mi guardassero con ancora maggiore desiderio, perché mi implorassero… e ci riuscivo bene…il grido silenzioso della carta era amplificato dalla pila che aumentava di giorno in giorno.

Ma quel giorno era venuto il turno di quella lettera. Oddio, perchè proprio quella mattina avevo deciso di guardare quel foglio? Non poteva rimanere lì qualche giorno in più? Non poteva nuotare insieme agli altri suoi fratelli nel mare della mia scrivania? Col tempo forse mi avrebbero cambiato ufficio e tutto sarebbe passato a un altro. Avrei potuto così continuare la mia vita tranquilla. Quel foglio maledetto avrebbe avuto il suo caprio espiatorio. Invece no. Oramai la lettera si era congiunta con il suo amante indissolubile – il protocollo elettronico - e nei secoli e nei secoli il mio nome sarebbe stato associato a quella pratica: Tito Speranza non aveva vie d’uscita, nessuno scaricabarile avrebbe potuto liberarmi da quella grana.



Trent’anni di anzianità di cui venticinque nello stesso ufficio: era inammissibile che il burocratese avesse ancora delle trappole e delle oscurità che non riuscissi a sciogliere. Venivano in processione ogni mattina dalle dieci alle trenta persone perché traducessi le note in italiano corrente.

Ero un punto di riferimento importante: da dieci anni non avevo nemmeno più bisogno di chiedere consiglio a Vito Cinquemani, il vecchio traduttore oramai da sei anni collocato a riposo per limiti di età.

Eppure quella strana mattina la vita voleva lanciarmi un’altra sfida.

La nebbia. Ma com’è possibile? La nebbia a Roma?! E una lettera intraducibile?!

E’ un complotto. Il Padreterno ha dato ascolto a una di quelle anime in pena in attesa sulla mia scrivania. Si, sicuramente si farà fatto abbindolare da uno dei centinaia di questuanti in attesa.

Il sole è una palla pallida che sfora timidamente il grigio. Dove sei cielo?



La mia reputazione poteva subire un vertiginoso tracollo.

Dovevo assolutamente capire il senso di quella lettera. Non potevo tollerare alcun tipo di concorrenza. Ero io il monopolio delle traduzioni.



Le 10.30. La nebbia non accenna a calare. Sono nervoso. Decido di scendere al bar.

Anticipo di mezz’ora la pausa caffè. E’ un evento storico: da dieci anni scendo tra le 11.00 e le 11.05. Oggi scendo alle 10.30. Ho paura.



Ore 11.07. Sono in ufficio; quella baldracca della lettera continua a guardarmi con l’espressione sarcastica e beffarda. La rileggo. Spero che la pausa mi abbia permesso di sgomberare la mente. Non posso fallire….







Reggio Calabria, 9-11-2006

Prot. n.13775/CORT.









E.C.O.F.A.N.

Direzione Generale Servizi Prevenzione

Direzione Centrale Semielaborati

Att.ne del Dirigente Generale Dott.G.R. Tiraboschi











Oggetto: PROCURA- Firma contratti di subappalto





Relativamente all'oggetto , in riferimento alla nota n. 452 del 10-5-2006 di codesta Ddirezione , ad inintegrazione della nota di posta elettronica inviata dall’ufficio scrivente il 30 mmaggio 2006 a codesta Dir., si si comunica il nominativo , segnalato dalla Direzione di competenza , da autorizzare per la stipula dei cocontratti di cui all’oggetto stesso.



RRiCCARDO MUCCISSI nato a Catanzaro il 23 settembre 1940 Sede di Crotone.









Distinti saluti.



Il Dirigente

(D.r Claudio Trovabene)

f.to ClaudioTrovabene















E’ una trappola. Non possono fregarmi così. Sono sicuramente quei viscidi del terzo piano.

Brutti invidiosi. Ignoranti. Non mi fregate. Tito Speranza non si arrende.”



Il giallo iniziava a tingersi di nero. C’era un primo indizio raccapricciante: non era indicata la ditta scrivente. Non si capiva quel dannato Trovabene a che titolo scrivesse. Chi era Trovabene?

E poi quella cavolo di sigla… E.C.O.F.A.N..

Che poteva significare? …Ente Congressi Facilitatori Agenzie Nazionali……No…non significa niente….. Enterprise Customer Organization French Air Nationalized

…. Ma no è una follia…

Nemmeno internet poteva aiutarlo….Google alla voce E.C.O.F.A.N. presentava risultati per 10.000 pagine da consultare…un’impresa titanica, impossibile.



“Questi stronzi mi vogliono fregare. Non c’è dubbio. Ma io non mi lascio fregare. Fottetevi in quel quarto piano di merda.”



E così Tito decise di non chiedere consiglio a nessuno. Era una trappola e non doveva caderci. Sicuramente, appena si fosse diffusa la voce del flop di Tito tutta la sede avrebbe puntato l’indice su di lui. E avrebbero scelto il nuovo traduttore. Che situazione. Dopo tanti anni finire in pensione per incapacità, e perdere quell’aura dell’ “insostituibile Speranza” che lo faceva alzare al mattino come il nipote bravo di Einstein… era un pensiero angosciante, insostenibile: basta, quella lettera andava tradotta.



La nebbia finalmente iniziava a diradarsi e il disco giallo tiepido e insignificante iniziava a urlare la propria forza alla città distratta.

La nebbia di Tito, invece, era lì immobile, beffarda e crudele.



Il suo ministero non aveva alcuna competenza per i contratti di subappalto: era stato tutto esternalizzato già da anni. Gli archivi dei fornitori erano stati secretati dalle ultime indagini di mani pulite ed era impossibile accedere ai database delle forniture.

In Calabria, inoltre, era stata da poco aperta un’inchiesta per collusione tra la ‘ndrangheta e la Regione… ancora più improbabile riuscire a decifrare il senso della lettera, anche lo storico dei movimenti di corrispondenza dalla Calabria era Top Secret ed agli atti della magistratura.



Nell’ufficio si sentivano solo i sospiri di Tito. Erano le 14.01. Il ministero era un deserto.

Tito giocherellava con le ombre del sole invernale. Che bel sole. Tutto gli ricordava quanto fosse impossibile venire a capo del significato della missiva. Roma non ammetteva superlavoro: anche quella permanenza in ufficio dopo le 14 sarebbe stata pericolosa, un’ammissione implicita dell’incapacità del malcapitato. Doveva correre subito fuori. Avrebbe finito il lavoro a casa.

Scese nascondendo la pratica nella sua borsa di cuoio nero. Quella borsa erano ormai anni che non vedeva pratiche di ufficio tra le sue braccia accoglienti: aveva ospitato colazioni, copie della Gazzetta dello Sport, inserti illustrati… era solo uno status symbol. Tito non avrebbe comunque saputo andare in ufficio da solo, senza la sua borsa; si sarebbe sentito nudo, esposto alle intemperie di una Roma impiegatizia che gli avrebbe sussurrato alle orecchie la sua illusione di utilità. Quell’utilità che stava tristemente naufragando in quella dannata lettera intraducibile.



“Che gentaglia. Quei bifolchi del quarto piano me la pagheranno. Ah, se me la pagheranno.”



Il sole continuava a giocare divertito con la sua fronte sudata. Sudare in inverno. E poi Tito non aveva mai sudato: era sempre riuscito con un minimo di sforzo a guadagnare la stima dei suoi clienti. Da anni non c’era lettera che non riusciva a non trovare una corretta traduzione sotto l’esame professionale del dott.Speranza.



Era oramai all’ottava stesura. Le altre sette erano nel cestino a urlare la loro impotenza all’arroganza della E.C.O.F.A.N..



“Questa casa è un inferno. E’ impossibile concentrarmi qui. Domani andrà tutto meglio. In ufficio, tra il silenzio degli uffici così poveri di impiegati, dove rimangono solo i più resistenti alle malattie, ai permessi, alle nonne ammalate bisognose di assistenza, ai permessi studio, ai distacchi sindacali, alle maternità, agli allattamenti, agli infortuni in itinere.

Lì riuscirò. Senza dubbio.”



Riprese così coraggio. Almeno quello sufficiente per tirare avanti fino al giorno dopo.

Prese la giacca e uscì. Roma stracciava ogni previsione metereologica e buttava in faccia la sua voglia di primavera. A dispetto della nebbia di Tito. A dispetto delle nuvole che iniziavano ad offuscare la sua reputazione.



La città lo accoglieva sorridendo alle sue paure. Un sorriso ironico, tipicamente romano.

Il vento giocava con i suoi capelli. Pochi si, ma in linea con il look tardoimpiegatizio.



Le carte volavano, cadevano, piroettavano in giro.

Una foglio si attaccò dispettoso sulla suola della scarpa. La solita storia delle gomme da masticare.

Anche questa. Tutto bello fuori, tutto nero per Tito.



Litigando con il mostro di carta riuscì a strapparlo via. Gli rimase nella retina una sovrapposizione infernale E.C.O.F.A.N.. Forse erano i suoi pensieri che creaavano un effetto allucinatorio, forse era davvero troppo stanco e stressato. Forse… Ma quella sigla era vera su quel foglio sporco di gomma da masticare.



L’aveva già gettato via, irritato che il suo equilibrio stesse cedendo in maniera così catastrofica.

Poi si fermò un attimo e pensò che, allucinazione per allucinazione, tanto vale guardare in faccia la realtà. E corse, corse appresso alla carta che il vento, bambino dispettoso, portava via con un andamento bizzarro.

Il suo cappello volò via ma Tito non ci badò: E.C.O.F.A.N. valeva di più del cappello, era in ballo il suo futuro. Se fosse stata un’allucinazione, almeno si sarebbe reso conto chiaramente di quello che gli stava accadendo.



Il sole continuava a congiurare contro di lui, prendendolo in giro: tutta quella nevrosi in una giornata così bella.

Gli uccelli lo guardavano dagli alberi incuriositi: la sua coccia pelata china su quel foglio sgualcito.



Uno sbaglio, un dannatissimo sbaglio. O meglio l’effetto di quella roulette russa di lasciare che le pratiche si accumulassero senza senso. Ora il senso veniva prepotentemente a galla.

In quella pila un foglio era volato e, approfittando della complicità del vento, era atterrato su una gomma da masticare che, con una cattiveria che solo gli oggetti riescono a manifestare, si era attaccata sotto la sua scarpa.









Spett.Ministero del Lavoro

Sezione distaccata Roma Centro







OGGETTO: Dismissione ufficio rivalutazione crediti – subentro Ufficio Controllo Lavori



Si comunica che dal 13/12/2006 l’ufficio rivalutazione crediti sarà dismesso, giusta determinazione del Direttore Generale del 3/10/2006.

Il personale in servizio all’ufficio, ove ricorra la permanenza in servizio da oltre 30 anni beneficerà del trattamento massimo previsto dalla normativa raggiungendo un’anzianità contributiva di 35 anni.

Pertanto codesta sezione vorrà informare il personale interessato.

Si anticipa infine che a stretto giro di posta saranno trasmesse le procure per il corretto funzionamento dell’ufficio subentrante.

Con l’occasione si ringrazia il personale uscente che ha fregiato il Ministero di abnegazione indefessa durante i tanti anni di servizio.



Distinti saluti.



IL DIRIGENTE

(dr. Corrado Mascherone)













Tito Speranza. Solo. In un parco. Come uno pensionato. Un cadavere che guardava la sua ombra sciocca giocare con un presente inutile.

“Ma che cazzo!”

Iniziava a parlare da solo? O era solo il minimo legittimo sfogo che la vita gli lasciava?

“Quella dannata lettera era solo la fase operativa della mia trombatura. La decisione era già presa e sicuramente era questa schifezza che mi si è attaccata sotto ai piedi. Quella stronzata che mi affannavo a tradurre era solo l’atto finale di un ufficio che non esiste più, anzi il primo atto di un futuro al quale sono escluso.”



Doppia sola.

Tito Speranza, il mago delle traduzioni segato dalla sua trombatura.



L’ufficio era lì, sopra la sua testa.

E lì quella finestra aperta, il “suo” ufficio. Ora non era nemmeno più suo. La ECOFAN sarebbe entrata a breve. Forse qualche nuovo impiegato, assieme al dirigente di turno, stava già visionando le piantine dell’ufficio per decidere il rinnovo degli arredi.



La finestra sbatteva. Qualche rumore arrivava fino sulla strada.

Tito si guardò intorno.

Il sole continuava a splendere con quei colori che solo Roma riesce a dipingere sul cielo scarlatto.

Camminava piano.



La sua nebbia si andava diradando e la sera della sua città mischiava i rumori delle macchine all’allegria del fine settimana.









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